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n.15 settembre 2014
ressante osservare come le perdite relative alla fase ‘produzione
agricola’ appaiono omogenee in tutte le 7 aree del mondo, mentre
gli sprechi al consumo sono regionalmente molto più variabili (31-
39% nelle aree a medio-elevato reddito; 4-16% in quelle a basso
reddito). Incrociando le 7 aree del pianeta con le 8 commodity si
evidenziano le situazioni di maggior spreco (e, quindi, di maggio-
re impatto ambientale): l’Asia nel suo complesso (Cina, Giappone,
Corea e Sud e Sud-Est asiatico) è l’area in cui si riscontrano 6 delle
prime 10 situazioni più gravose per spreco/impatto, dominando la
classifica con la produzione di ortaggi (118 kgsprecati/ab) e cereali
(80 kgsprecati/ab). Al 2° posto, si colloca l’Africa con la produzio-
ne di tuberi/radici amidacee (115 kgsprecati/ab). Anche l’Europa
presenta seri problemi (5° posto, con tuberi/radici amidacee: 85
kgsprecati/ab; 9° posto, con cereali: 68 kgsprecati/ab; 10° posto
con ortaggi: 65 kgsprecati/ab) Gli ortaggi coltivati e consumati
nell’Asia industrializzata sono dunque l’hotspot principale.
Rapportando i gas serra emessi e i terreni non usati per perdite/
250 km
3
(3 volte il volume del lago di Ginevra), l’impronta suolo
agricolo sfiora i 1,4 miliardi di ettari (28% della superficie agri-
cola mondiale). Conclude quindi Marco Fiala commentando che
la Food Wastage Footprint non è quindi l’ennesima “footprint”
per far colpo, bensì una durissima denuncia e un autorevole
richiamo al cambiamento.
Giovanni Donatacci,
interviene sottolineando come buo-
na parte degli sprechi avvengano prima ancora di entrare nel
processo di trasformazione, andando ad aumentare gli effetti
negativi dovuti a quelli che diventano inutili input come concimi
e pesticidi, nonché al consumo di acqua, allo spreco di terreno
agricolo e al correlato aumento di CO
2
. In tale contesto diventa
quindi strategico ricorrere all’innovazione per consentire pro-
duzioni di qualità, sistemi di raccolta efficaci e ottimizzazione
dello stoccaggio delle produzioni. In tale contesto la fienagione,
settore nel quale la sua azienda è un punto di riferimento, rap-
presenta un esempio emblematico: l’impiego di barre di taglio
innovative per una raccolta veloce e ‘pulita’ del prodotto all’in-
terno di sempre più brevi finestre operative, uno spandimento e
una andanatura che miri a preservare la qualità e il non inquina-
mento da terra del fieno, e non ultimo una pressatura ottimale
con anche eventuale fasciatura, sono le risposte per la riduzione
del Food Wastage Footprint. Conclude Donatacci evidenzian-
do che la riduzione dello spreco alimentare è ottenibile anche
con la valorizzazione di eventuali esuberi o scarti, con la loro
trasformazione in compost e l’utilizzo poi di questo con idonee
macchine per lo spandimento nel terreno come fosse una vera
e propria concimazione organica.
Enrico Rampin pone invece evidenza alla perdita economica
legata ai dati FAO: 750 miliardi di USD/anno. Sottolinea inoltre
come la magnitude di questi numeri determini forti perplessità
sull’effettiva sostenibilità dell’attuale sistema di produzione ali-
mentare e come ne derivi un forte stimolo per l’avviamento di
concrete azioni comunitarie mirate a migliorare l’efficienza pro-
duttiva del comparto agricolo e la riduzione degli input agrono-
mici nei sistemi colturali.
In termini generali, quali sono i prodotti alimentari a mag-
giore impatto ambientale?
Marco Fiala
risponde prendendo spunto dal rapporto della
FAO: lungo la catena produttiva alimentare, le ‘fasi a monte’
(produzione, post-raccolta, stoccaggio) rappresentano il 54%
dello spreco complessivo di alimenti (la fase agricola, da sola,
contribuisce per il 30%), il restante 46% è a carico delle ‘fasi a
valle’ (trasformazione, distribuzione, consumo). È inoltre inte-
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