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n.13 marzo 2014
del cotone è piuttosto elevata (circa
il 33% sul valore medio globale),
perché spesso, a seconda della
zona di produzione, necessita di
irrigazione [2-4]. Acompletamento
del quadro, Maria Cristina Rulli, ci
conferma che per quanto attiene
l’impronta idrica dei prodotti
alimentari la carne bovina detiene il
primato del consumo idrico per unità
di peso, seguita dalla frutta oleosa,
gli oli vegetali e i formaggi. Rimanda
poi per il dettaglio dei singoli alimenti
all’impronta idrica della piramide
alimentare (Figura 1), realizzata dal
Barilla Center for Food and Nutrition.
Ma perchè la Water Footprint
è così rilevante per il settore
alimentare?
Secondo Luca Ruini dipende dal
fatto che i prodotti alimentari hanno
nella maggior parte dei casi origine
dalle filiere agricole, dove il ruolo
dell’acqua è fondamentale, essendo
il costituente principale delle piante,
alle quali arriva per irrigazione o
naturalmente con le precipitazioni.
Come detto precedentemente, si
stima che l’85% dell’acqua dolce
sia impiegata in agricoltura. La
Water Footprint, nel settore agricolo
è misura sia dell’acqua utilizzata
per l’irrigazione (blue water),
sia di quella proveniente dalle
precipitazioni ed evapotraspirata
dalle piante (green water), sia di
quella necessaria a ripristinare le
condizioni iniziali dei bacini idrici
contaminati dalle emissioni causate
dall’uso di fertilizzanti e fitofarmaci
(grey water). Per quanto riguarda
le filiere animali tale discorso è
ancora più importante perché nel
calcolo bisogna tener conto non solo
dell’acqua che l’animale ha bevuto,
ma anche dell’acqua impiegata per
la coltivazione dei cereali consumati
come mangime. Per questo la Water
Footprint finale dei prodotti di origine
animale risulta elevata.
Anche Maria Cristina Rulli conferma
il fatto che la maggior parte
dell’attuale utilizzo di risorsa idrica
dolce attiene alla produzione agricola
(circa l’85% a scala mondiale),
mentre solo una piccola frazione
di acqua viene utilizzata per uso
domestico (§ 5%) o usi industriali
(§ 10%), come già evidenziato
anche da Luca Ruini. Poiché tutta
la produzione alimentare dipende
direttamente o indirettamente
dall’agricoltura, nel complesso
l’alimentazione dell’umanità richiede
più acqua di quanta ne richieda il
soddisfacimento della sua sete.
Maria Cristina Rulli ci conferma
che vi è una certa preoccupazione
legata al fatto che nei prossimi
decenni le risorse di acqua dolce
disponibili sulla Terra potrebbero
non essere sufficienti a soddisfare
la crescente domanda di cibo,
fibre e biocarburanti. Ci si chiede
quindi se l’uomo sia in procinto di
affrontare una grave crisi idrica. La
Rulli prosegue spiegando che negli
ultimi decenni l’intensificazione del
commercio mondiale ha consentito
ad alcune società di poter fare
affidamento su prodotti alimentari
importati da altri Paesi, in tal
modo utilizzando virtualmente le
risorse idriche disponibili nei Paesi
esportatori e quantificate attraverso
l’impronta idrica dei prodotti
importati. Il commercio di prodotti
alimentari e altre merci è infatti
associato ad un trasporto di acqua
virtuale dal luogo di produzione a
quello di consumo. Il commercio
dell’acqua virtuale è un meccanismo
tramite il quale si può attuare una
ridistribuzione delle risorse idriche
e quindi di cibo, rendendo possibile
che Paesi ove la risorsa idrica ed
alimentare è scarsa possano avere
ciò di cui abbisognano.
“La crisi alimentare del 2008 -
conclude Maria Cristina Rulli - ha
evidenziato la prossimità dei limiti
di risorse naturali nella quale ci
troviamo ad operare: essa ha infatti
prodotto un vertiginoso aumento
dei prezzi alimentari, una politica
protezionista dei Paesi esportatori,
una crisi nei Paesi importatori e
un conseguente aumento della
popolazione affetta da malnutrizione
(oltre un miliardo). Tale crisi, nonché
gli episodi di instabilità politica
che ne seguirono nel 2010-11,
suggeriscono che la crescente
domanda di acqua e cibo hanno
eroso la capacità di resilienza della
società verso le calamità naturali,
diminuendo la sicurezza alimentare,
e che una soluzione urgente per
assicurare la sicurezza alimentare
nei Paesi dipendenti dall’importazioni
si rende necessaria”.
Se dunque la Water Footprint
è così rilevante per il settore
alimentare, in che modo posso
usare le indicazioni che ne
derivano per ridurre i consumi
idrici?
Luca Ruini spiega, con riferimento
alla Water Footprint diretta, che
il comportamento quotidiano e le
abitudini cui si è soliti, possono
portare a sprecare più o meno
acqua. Siccome è una risorsa che
nei prossimi anni sarà sempre più
scarsa, nonché trattata come un
bene economico, è molto importante
seguire pochi semplici gesti
quotidiani utili a risparmiare l’acqua,
riducendo il consumo diretto di
questa risorsa. Alcuni esempi sono i
seguenti: utilizzare miscelatori di aria
nei rubinetti e nelle docce, utilizzare
un sistema a doppio pulsante di
scarico per i servizi igienici, chiudere
il rubinetto quando non serve. Per
ridurre l’impronta idrica indiretta di un
consumatore, invece, generalmente
molto più grande di quella diretta, un
consumatore può agire sostituendo
un prodotto abitualmente utilizzato
e caratterizzato da una Water
Footprint molto alta, con un
prodotto analogo che ad esempio
provenga da un luogo di produzione
differente, caratterizzato da una
impronta idrica più bassa. Questo
approccio di scelta richiede, tuttavia,
che i consumatori abbiano a
disposizione informazioni corrette
e complete: quando disponibili, i
consumatori possono compiere
scelte consapevoli. Proprio per
questo è importante il concetto di
impronta idrica [1, 5]. Maria Cristina
Rulli completa il quadro enfatizzando
il fatto che l’impronta idrica di un
prodotto, indicando la quantità
d’acqua necessaria alla produzione
del bene, è strettamente legata alla
zona di produzione del prodotto
stesso e cioè alle caratteristiche
climatiche e geopedologiche.
La valutazione di tale indicatore
nelle diverse condizioni meteo-
geopedologiche e l’analisi dello
stesso può essere d’ausilio
all’individuazione di zone idonee
ad una produzione sostenibile (dal
punto di vista della risorsa idrica) di
certi prodotti. Per quanto attiene il
nostro territorio nazionale i risultati
di una ricerca svolta dal gruppo
di ricerca cui appartengo presso
il Politecnico di Milano mostrano
come i prodotti alimentari italiani
fregiantisi dei marchi di alta qualità
(DOP, DOCG, DOC) siano anche
notevolmente sostenibili per quanto
attiene il loro impatto sulla risorsa
idrica [6].
Quali sono le BAT applicabili
considerando l’intero ciclo di vita
dei prodotti al fine di ridurre i
consumi idrici?
Se consideriamo il segmento
agricolo, secondo Inea si possono
abbassare almeno del 20% i
consumi di acqua per irrigazione
in agricoltura, settore che abbiamo
visto assorbe circa il 90% della
risorsa nazionale, usando tecnologie
come i sistemi informativi geografici
(Gis) abbinati a satelliti per il
telerilevamento e ad opportuni
modelli matematici.
Anche l’utilizzo di sistemi di
irrigazione a goccia con sistema di
controllo centralizzato e l’impiego
di sensori di rilevamento pioggia
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