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n.13 marzo 2014
In tale contesto, abbiamo chiesto
a Maria Cristina Rulli, professore
associato presso Diiar-Politecnico
di Milano, che da tempo si occupa
di Water Footprint e a Luca Ruini,
Health, Safety, Environment &
Energy Director di Barilla, che
ha partecipato a diverse ricerche
sul tema del risparmio idrico
lungo la filiera agroalimentare, di
rispondere a qualche domanda
proprio sul tema emergente della
Water Footprint e di indicarci anche
alcune delle BAT (Best Available
Tecniques) applicabili alla filiera.
Iniziamo subito chiedendo
se, vista l’esistenza delle
altre “Footprint”, Carbon
ed Ecological, era davvero
necessario introdurre anche la
Water?
Secondo Maria Cristina Rulli,
l’introduzione di una metrica
quale quella della Water
Footprint consente l’analisi e la
quantificazione dell’impatto della
produzione di un bene su di una
risorsa strategica e vitale quale
quella idrica. Il concetto di Water
Footprint è stato proposto come un
indicatore dell’uso dell’acqua, che
valuta sia il consumo diretto che
indiretto da parte di un utilizzatore
o un produttore di un bene. Spiega
inoltre che l’impronta idrica si può
calcolare sia per gruppi ben definiti
di consumatori (ad esempio una
singola persona, una famiglia, un
paese, una città, una provincia,
uno stato o nazione), sia per i
produttori (ad esempio un ente
pubblico, un’impresa privata o un
intero settore economico) che per i
singoli prodotti. La Water Footprint
di un prodotto è il volume di acqua
dolce utilizzato per produrre il
bene, quest’ultimo misurato nel
luogo in cui tale bene è stato
effettivamente prodotto. Esso si
riferisce alla somma dei volumi di
acqua utilizzati nelle varie fasi della
catena produttiva e si misura in
termini di volume di acqua utilizzata
e/o inquinata per unità di tempo.
L’indicatore sviluppato tiene quindi
conto della “Green Water Footprint”
(acqua piovana infiltrata nel suolo e
a disposizione della vegetazione),
della “Blue Water Footprint’ (acqua
di falda o di superficie) e della “Grey
Water Footprint” (volume di acqua
inquinata associato alla produzione
di beni e servizi). Quest’ultimo
viene quantificato come il volume
di acqua dolce necessaria per
assimilare il carico inquinante
sulla base di norme idriche vigenti.
Nelle zone di carenza idrica la
conoscenza dell’impronta idrica di
un bene o servizio può pertanto
essere utile per ottimizzare l’utilizzo
delle scarse risorse disponibili.
“È importante definire se l’acqua
impiegata per la produzione di un
bene derivi dall’utilizzo di acqua
piovana (Green Water) o dal
prelievo di acqua di superficie o di
falda (Blue Water); la suddivisione
in questi due differenti indici è utile
poiché è possibile valutare l’impatto
del singolo prodotto sulla risorsa
idrica” conclude Maria Cristina Rulli.
Cercando di delineare il quadro
delle Footprint e quindi ribadire
l’opportunità di utilizzo della Water
Footprint, che è appunto parte di
una grande famiglia di indicatori
recentemente sviluppati, Luca
Ruini evidenzia che oggi viene
abitualmente utilizzato come
indicatore di riferimento il “Carbon
Footprint” (strettamente legato al
“Climate Change”), ma per una
valutazione complessiva e più
esaustiva, è preferibile non limitarsi
all’utilizzo di questo. Il concetto di
“impronta” in generale è diventato
noto come una misura quantitativa
che mostra l’utilizzo di risorse
naturali o la pressione dell’uomo
sull’ambiente: l’Ecological Footprint
è una misura dell’utilizzo di quanto
terreno biologicamente attivo
sia necessario alla produzione
di un bene o di un servizio (e si
misura in ettari globali); il Carbon
Footprint misura la quantità di gas
a effetto serra (GHG) prodotte
da un sistema, e si misura in
massa di CO
2
equivalente (eq); il
Water Footprint, come detto dalla
Rulli, dà una stima del consumo
di acqua diretto e virtuale (e si
misura in volumi di acqua per
unità di tempo). I tre indicatori
sono quindi complementari, dal
momento che misurano cose
completamente diverse tra loro.
Metodologicamente, ci sono
alcune somiglianze tra le diverse
impronte, benché ognuna abbia le
sue peculiarità. Ad esempio per il
Water Footprint, come sostenuto da
diversi autori [1] è molto importante
specificare lo spazio e il tempo,
questo perché la disponibilità di
acqua varia molto in funzione della
posizione geografica e può non
essere sempre la stessa nel tempo
(si pensi, ad esempio, alle diverse
condizioni in estate o in inverno,
dove i fiumi sono in secca o in
piena).
Appurato quindi che la Water
Footprint è indubbiamente
utile, chiediamo quali sono i
prodotti alimentari caratterizzati
da un valore maggiore di tale
indicatore?
Luca Ruini spiega che, poiché
come evidenziato in precedenza,
l’impronta idrica è un indicatore che
consente di calcolare l’uso di acqua,
prendendo in considerazione sia
l’utilizzo diretto che quello indiretto,
essa è in grado di tenere conto sia
dell’acqua contenuta che di quella
che è stata usata lungo l’intero
ciclo di vita. È questo un aspetto
molto importante se si pensa che
nel consumo idrico totale di un
individuo uno dei contributi più
importanti è il consumo d’acqua
legato all’alimentazione. In
particolare, l’85% circa dell’acqua
dolce è impiagata per la produzione
agricola (e animale), il 10% per la
produzione industriale e il 5% per il
consumo domestico. In generale,
i prodotti di origine animale hanno
un’impronta idrica maggiore rispetto
a quelli di origine vegetale, a causa
dell’acqua impiegata per produrre
i mangimi che vengono consumati
negli allevamenti. Sulla base dei
dati forniti dal Water Footprint
Network (WFN), ad esempio, la
Water Footprint media globale di
carne bovina è 15.400 litri/kg (dato
che dipende principalmente dalla
green water, pari al 94% del totale).
Ruini cita poi anche un esempio
al di fuori del mondo alimentare:
l’impronta idrica media globale
del cotone è di 10.000 litri per
chilogrammo; una camicia di
cotone da 250 grammi ha un water
footprint di circa 2.500 litri, un jeans
di 800 grammi di circa 8.000 litri
(dati medi globali). La percentuale
di acqua blu nell’impronta idrica
IMPRONTA
ALIMENTARE
Figura 1 – Piramide alimentare (Barilla Center for Food and Nutrition, 2011).
1...,28,29,30,31,32,33,34,35,36,37 39,40,41,42,43,44,45,46,47,48,...86
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