Prezzo dell’energia nullo:
conviene?
Senza entrare nel merito
dell’attribuzione degli
oneri si possono fare delle
considerazioni generali sulla
struttura di prezzo del mercato
dell’energia. Ovvero il prezzo
di vendita dell’energia viene
fatto in base al costo marginale
di generazione dell’energia da
parte di un impianto. Quanto
più un impianto avrà bassi
costi per kWh prodotto tanto
più facilmente sarà chiamato a
produrre energia. Se però molta
energia viene prodotta a costi
marginali nulli, come accade per
l’energia da fonte rinnovabile
(che, essendo poco o nulla
programmabile ha priorità di
essere immessa) e, parimenti
per impianti di cogenerazione
e generazione distribuiti, e se
si verifica il caso di avere una
bassa richiesta di energia, può
accadere che a soddisfare
la domanda bastino solo gli
impianti a costo marginale
nullo. In questo caso il prezzo
dell’energia che viene a formarsi
è nullo, così come accaduto
una domenica di giugno, nel
primo pomeriggio, quando i
consumi erano bassi (questo
è stato un giugno molto fresco
rispetto alla media) e la giornata
comunque soleggiata con gli
impianti fotovoltaici in massima
produzione.
Avere il prezzo dell’energia
a zero è solo un apparente
vantaggio. In
quelle ore
l’energia prodotta era da
un lato incentivata come
energia rinnovabile (gli
impianti fotovoltaici sono tutti
sovvenzionati con i diversi ‘conti
energia’ prodotti nelle passate
legislature) dall’altro era anche
distribuita e trasportata sulle reti
a costo zero, in quanto priva
degli oneri di sistema di cui
sopra.
Il risultato di quelle due ore di
una domenica di giugno sono
state da una parte il successo
per le fonti rinnovabili, ovvero
aver dimostrato la capacità
di ‘reggere’ la domanda del
sistema elettrico nazionale
(con il contributo dell’energia
importata che non può essere
‘fermata’) e dall’altro, il
fallimento di molti impianti a
gas di recente costruzione. In
pratica gli impianti a gas (turbo
gas), ma anche quelli a carbone,
con costi marginali bassi, non
hanno potuto operare in quanto
mancava la domanda di energia,
quella poca presente era
soddisfatta completamente dagli
impianti distribuiti, rinnovabili e
non.
Questo episodio, estremo, ma
non più così improbabile visto
l’andamento dei consumi in
discesa con la crisi economica
e l’aumento di immissione di
energia dagli impianti a fonte
rinnovabile, in gran parte
fotovoltaici ma non solo, mette
a nudo i calcoli errati che
furono fatti a suo tempo per
la costruzione degli impianti
tradizionali a turbo gas. I piani
di investimento e le simulazioni
dei business plan erano state
fatte con oltre seimila ore di
funzionamento per questi
impianti, performanti ma costosi.
Oggi, invece, per effetto del
boom delle fonti rinnovabili e del
calo della domanda, si trovano
a lavorare un numero quasi
dimezzato di ore, e, spesso,
anche non a piena potenza.
Chi deve pagare gli oneri di
distribuzione?
Allora, tornando al problema
iniziale, bisogna stabilire
se, davvero, l’energia
prodotta da questi impianti
distribuiti, energia difficilmente
programmabile nei tempi e
nelle quantità prodotte, debba
effettivamente pagare gli oneri di
sistema, oppure se, viceversa,
gli impianti tradizionali non
siano stati troppo ottimisti,
per non dire imprecisi, nella
valutazione del numero di ore di
funzionamento.
Come sempre la verità sta
nel mezzo, ma non è certo
cosa facile da stabilire, e,
ancor meno, sarà trovare una
soluzione in grado di mettere
tutti d’accordo.
Ma, ormai,
l’ipotesi è
sul tavolo
e potrebbe
non essere
l’opzione
migliore per
risolvere il
complicato
rebus
dei costi
dell’energia
e dei prezzi
di borsa
ai costi
marginali.
Da un lato grandi impianti
con business plan mal
redatti, dall’altro interi settori
industriali che potrebbero
andare in sofferenza oltre il
limite cui sono già vicini. C’è
tutto il materiale per parlare
di uno scontro tra i grandi
produttori e i piccoli; di portare
lo scontro a livello ideologico,
i grandi e ‘cattivi’ produttori
tradizionali, delle società
con milioni di euro, e i piccoli
produttori, simbolicamente
rappresentati dalla famigliola
con il tetto fotovoltaico sulla
casa. Ovviamente non è così
semplice.
Tra gli impianti che non pagano
gli oneri di sistema ci sono
impianti a fonte rinnovabile con
taglia anche sopra il MW, ovvero
impianti non programmabili; ma
se escludiamo dalla generazione
distribuita gli impianti fotovoltaici
ed eolici e tralasciamo
anche quella degli impianti a
servizio delle grandi industrie
(impianti per l’autoproduzione
di energia) cosa rimane? La
risposta non è immediata, ma,
in linea di massima possiamo
identificare quei piccoli
impianti di cogenerazione
che sono nati negli ultimi anni
sfruttando gli incentivi concessi
alla cogenerazione ad alto
rendimento (CAR).
In pratica il legislatore ha
fissato dei criteri e dei limiti
per identificare quando la
cogenerazione sia ad alto
rendimento e ha poi stabilito un
meccanismo di incentivazione
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n.11 settembre 2013