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n.10 maggio 2013
Quali sono gli aspetti gestionali e le tecnologie che con-
sentono il rispetto della normativa? In particolare, quali
sono le tecnologie d’avanguardia che potrebbero far dif-
fondere la pratica del riutilizzo ‘sicuro’?
Alessandro Monti spiega che le sfide maggiori della depurazio-
ne ai fini del riutilizzo degli scarichi riguardano la rimozione più
spinta dei solidi sospesi, con conseguente riduzione anche dei
livelli di COD e BOD, ed un abbattimento drastico della carica
batterica (E. coli e Salmonella). Ad oggi sono due le soluzioni
tecnologiche che hanno trovato maggior riscontro sul campo:
i) la combinazione della filtrazione terziaria (a tela o su sabbia)
seguita da uno stadio separato di disinfezione con tecnologia
ultravioletti (soluzione più diffusa per ragioni economiche), ii)
affermatasi da qualche anno, la tecnologia a membrana nel-
la depurazione delle acque di scarico (noto come bioreattore
a membrana, MBR) che, oltre ad offrire enormi vantaggi nel
processo biologico, è in grado di garantire una qualità all’ef-
fluente migliore rispetto a quanto prescritto dal DM 185/2003.
L’innovazione introdotta da alcuni fornitori di sistemi MBR,
come il ZeeWeed LEAPmbr, è l’impiego di membrane di ultima
generazione in grado di rimuovere la carica batterica senza la
necessità di ricorrere a metodi di disinfezione a valle. Inoltre,
la tecnologia a membrane può essere utilizzata anche come
affinamento dell’effluente secondario in uscita dal sedimenta-
tore esistente, noto come trattamento terziario, garantendo il
rispetto dei limiti a riuso in un singolo step di trattamento. Con-
clude Alessandro Monti sostenendo che ӏ inconfutabile che la
tecnologia a membrana oltre a risolvere diversi problemi nel
processo depurativo abbia tutte le carte in regola per diffonde-
re la pratica del riutilizzo, in un paese che ha ancora molto da
fare in questo settore”.
Giuseppe Lonardini cita gli esiti di alcuni studi condotti dal Di-
partimento di Ingegneria Ambientale dell’Università di Brescia
- Dicata (Esperienze di riutilizzo agricolo di acque reflue sot-
toposte a diversi livelli di trattamento, Fausta Prandini – 2011)
per testare l’efficacia depurativa di alcune tecniche di tratta-
mento delle acque reflue, analizzando e comparando il grado
di contaminazione presente su colture irrigate con differenti
acque: “per raggiungere i limiti imposti dalla normativa italiana
per il riutilizzo diretto delle acque reflue depurate non sono
sufficienti le tradizionali tecniche di depurazione, ed è quindi
necessario ricorrere a trattamenti più spinti come ad esempio
l’uso di membrane (MBR), con conseguente aumento sensibi-
questo messaggio tramite campagne mirate e capillari sul
territorio che istruiscano gli addetti ai lavori sulla base di
analisi delle acque comprovate, sono infatti numerosi i casi
all’estero dove intense campagne di istruzione del pubblico
hanno portato a risultati estremamente positivi, come ad
esempio in California, Singapore e in Spagna.
Giuseppe Lonardini
sostiene infine che “in termini di im-
patto sulla salute e sull’ambiente, se si rispettano i limiti di
legge imposti dalla normativa, i rischi legati all’utilizzo delle
acque reflue depurate sono bassi”. Ci spiega che in molti
casi sono soprattutto gli agricoltori ad essere contrari all’uti-
lizzo delle acque reflue per due ragioni: i) le acque primarie
offrono spesso una garanzia di qualità costante nel tem-
po mentre le acque reflue depurate in uscita dall’impianto
subiscono oscillazioni di qualità legate ai tempi di risposta
del ciclo biologico di trattamento legate alle variazioni di
portata in ingresso agli impianti e alla stagionalità; ii) ad
oggi le acque superficiali convenzionali, a parità di qualità,
senza una politica di incentivazione dell’uso delle acque re-
flue costano decisamente meno. Lonardini evidenzia infine
che spesso la popolazione a parità di disponibilità di acqua
preferisce, anche solo per motivi ideologici, una irrigazione
con acque superficiali convenzionali.
La normativa vigente è cautelativa, con particolare rife-
rimento ai parametri maggiormente critici? Come tiene
in considerazione gli standard dell’OMS?
A questa domanda risponde Maurizio Brown che spiega che
il testo di riferimento è il DM 185/2003, che fissa i limiti allo
scarico per riutilizzo delle acque reflue urbane e, con parti-
colare riferimento allo standard microbiologico l’organismo
di riferimento previsto dall’attuale normativa emanata dal
Ministero dell’Ambiente e applicata nel sistema depurativo
milanese è l’E. coli il cui limite di accettabilità allo scarico,
molto cautelativo, è pari a 10 UFC/100 ml. Le linee guida
emanate alla fine degli anni ’80 dall’OMS fanno invece rife-
rimento ai Coli Fecali, fissando un limite poco restrittivo pari
a 1.000 UFC per 100 ml. In chiusura pone una domanda
per i nostri legislatori: “perché limiti attuali così restrittivi se
nelle acque dei fiumi usati abitualmente per irrigare sono
rilevabili concentrazioni ben più elevate in termini di carica
batterica?”.
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