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n.10 maggio 2013
le dei costi sia dal punto di vista di realizzazione/adegua-
mento degli impianti che di gestione”. Prosegue Giuseppe
Lonardini, “tali tecniche, abbinate a controlli di qualità delle
acque in uscita rigorosi, garantirebbero un uso sicuro della
diffusione delle acque reflue depurate per uso agricolo. Un
punto critico, tuttavia, sono le conseguenze che potrebbero
derivare da un’eventuale non conformità delle caratteristi-
che in uscita dalle acque reflue depurate e destinate ad un
uso diretto di irrigazione in agricoltura. Infatti, se si ipotizza
che per qualche ragione (guasto all’impianto di trattamento,
anomalia dei carichi di inquinanti presenti nelle portate in
ingresso in cui vi può essere una potenziale presenza di
sostanze tossiche ecc.) le acque in uscita dall’impianto di
depurazione potrebbero avere caratteristiche non conformi
per l’uso irriguo, si potrebbero pertanto verificare danni nei
confronti dei raccolti irrigati con tali acque.
Maurizio Brown ci porta l’esperienza presso l’ambito mi-
lanese, spiegandoci che per quanto riguarda i trattamenti
di depurazione in grado di consentire il reimpiego dell’ef-
fluente per l’uso irriguo, si possono considerare i seguenti
sistemi: fisico-meccanici (chiariflocculazione, filtrazione),
chimici (disinfezione), naturali (stagni biologici, fitodepura-
zione). Nei poli depurativi milanesi ci spiega che sono adot-
tati sistemi fisico-meccanici (filtrazione a sabbia) e chimici
(in un caso con impiego di acido peracetico quale agente
disinfettante, in un altro applicando un sistema a raggi UV).
Chiude evidenziando che in conseguenza di tali applicazio-
ni, il costo di gestione dei depuratori di Milano assume un
rilievo molto significativo.
Da un punto di vista economico, in relazione al riutiliz-
zo irriguo di acque reflue trattate, è possibile ipotizzare
una riduzione dei costi legati alla diminuzione di do-
manda di acqua dolce?
Maurizio Brown ci spiega che i vantaggi offerti dal riutilizzo
delle acque reflue a fini agricoli possono superare sensibil-
mente i costi sostenuti per soddisfare la richiesta di acqua
dolce. Infatti, per il mondo agricolo, l’utilizzo di acqua ri-
ciclata proveniente dagli insediamenti urbani produrrebbe
una diminuzione dei costi di pompaggio di acqua dolce, per
esempio, prelevata dai corsi d’acqua o dalla falda acquife-
ra. Inoltre vi sarebbe, negli insediamenti urbani, una mag-
giore disponibilità di acqua dolce, in quanto non impiegata
in agricoltura.
Secondo Alessandro Monti di GE Power & Water se si guar-
da alla pratica dell’irrigazione in agricoltura si nota che le
fonti di approvvigionamento sono principalmente canali/
fossi oppure pozzi che prelevano dalla falda, entrambi con
costi pressoché irrisori. Questo fa sì che l’equazione pura-
mente economica per l’utilizzatore non può che portare ad
un incremento del costo del consumo di acqua. Partendo
da un piano di incentivi iniziale avente come obiettivo la
promozione di tale pratica, in parallelo ad una crescita della
consapevolezza dell’importanza del riuso, si potrà arrivare
ad una sostenibilità economica e soprattutto ambientale.
Infine, ragionando in termini olistici, è possibile conside-
rare il riutilizzo in agricoltura quale strumento per il mi-
glioramento della “water footprint”?
Poiché la “impronta idrica” indica il consumo di acqua dolce
utilizzata per produrre beni e servizi, misurata in termini di vo-
lumi di acqua consumati e inquinati per unità di tempo (portate
d’acqua), secondo Maurizio Brown è da ritenere che il riutilizzo
in agricoltura di acque reflue trattate non possa che essere
considerato migliorativo nei confronti di tale indicatore.
Di analoga opinione è anche Alessandro Monti per il quale
“l’utilizzo di acqua in agricoltura conta all’incirca il 70% del-
la domanda totale, pertanto anche un minimo efficientamento
dell’uso irriguo in questo settore non può che portare enormi
ed inconfutabili vantaggi nel “water footprint”.
TAVOLA
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