Energia_Ambiente_13 - page 15

La definizione di rifiuto può
essere letta, in negativo,
attraverso quelle di ‘bene usato’,
di ‘sottoprodotto’ e di ‘End of
Waste’.
I beni usati sono beni suscettibili
di riutilizzo, prima che diventino
rifiuti (pensiamo ad esempio ad
un imballaggio terziario che può
effettuare più rotazioni prima di
cessare il proprio ciclo di vita). La
giurisprudenza, a tale proposito,
ha precisato che la prova circa
la riutilizzabilità deve essere
“obiettiva, univoca e completa,
non potendosi tenere conto
solo delle affermazioni o delle
intenzioni dell’interessato” (Cass.
pen., Sez. III, 27 giugno 2012, n.
25358; Cass. pen., Sez. III, 18
novembre 2010, n. 40855).
I sottoprodotti sono prodotti
secondari derivanti da un
processo industriale, che
rispettino le condizioni particolari
stabilite dall’articolo 184-bis del
DLgs 152/2006 o da normative
speciali (come ad esempio la
disciplina sulle terre e rocce di
scavo: DM 161/2012).
I materiali che cessano di
essere rifiuti sono invece quelli
che derivano da un processo
completo di recupero di rifiuti
(EoW). Si tratta pertanto di rifiuti
che, a seguito di una operazione
di gestione in senso stretto,
regolarmente autorizzata come
tale, ritornano ad essere ‘beni’
o, per meglio dire, ‘prodotti’. Una
volta si chiamavano ‘materie
prime secondarie’ e questa
terminologia si usa ancora nella
prassi; alcuni li chiamano ‘rifiuti
cessati’ (Santoloci).
La differenza più rilevante rispetto
alla precedente disciplina è che
oggi l’operazione di recupero non
necessariamente deve consistere
in una trasformazione; è possibile
anche soltanto la verifica che il
rifiuto risponda alle condizioni
per essere utilizzato in un ciclo
di produzione o di consumo; ed
è così che la ‘preparazione per
il riutilizzo’ dei rifiuti costituisce,
secondo la legge, un’operazione
di recupero in senso stretto,
configurazione che ha
determinato la scomparsa della
controversa figura delle ‘materie
prime secondarie sin dall’origine’
(costituita da materiali, sostanze
ed oggetti che già presentavano,
sin dall’origine, le caratteristiche
delle materie prime secondarie,
dei combustibili o dei prodotti
derivanti da operazioni di
recupero, senza necessità di
trasformazioni preliminari),
contemplata dalla legislazione
italiana previgente al decreto
di recepimento della Direttiva
2008/98/CE e disciplinata
dalla circolare del Ministero
dell’ambiente 28 giugno 1999,
prot. n 3402/V/MIN.
Il concetto di End-of-Waste
nella legislazione vigente
La disposizione di riferimento
è l’articolo 184-ter del DLgs
152/2006, attuativo dell’articolo 6
della Direttiva 2008/98/CE.
Le condizioni che devono
sussistere affinché un rifiuto
torni ad essere un prodotto,
liberamente utilizzabile e
circolabile sul mercato, sono
similari a quelle definite per il
‘sottoprodotto’, vale a dire: (i)
l’uso comune della sostanza/
oggetto derivante dal recupero
per scopi specifici e (ii)
l’esistenza di una domanda
di mercato; tali condizioni
assicurano l’‘utilizzo certo’
dei materiali in ulteriori cicli
di produzione o di consumo,
in assenza del quale essi
debbono necessariamente
essere considerati ‘rifiuti’;
(iii) il rispetto dei requisiti di
qualità richiesti dal ciclo di
destinazione e delle norme
tecniche e standard applicabili
ai prodotti, cui è associata la
necessità che i materiali (iv) non
aggravino gli impatti ambientali
complessivamente considerati
della produzione in cui vengono
impiegati rispetto all’uso di altre
materie prime.
Se queste condizioni vengono
rispettate, è indifferente che il
rifiuto sia stato o meno sottoposto
ad una trasformazione, potendo
l’attività di recupero autorizzata
che ne determina la riconversione
a ‘prodotto End of Waste’
consistere semplicemente in
un’attività di selezione e controllo
(contrariamente a quanto la
giurisprudenza aveva ritenuto
nel vigore della precedente
disciplina), che assume la
denominazione di ‘preparazione
per il riutilizzo’ (3) e che deve
comunque essere autorizzata in
regime ordinario ex art. 208 (non
essendo stati ancora emanati i
previsti decreti di semplificazione)
come attività di recupero in senso
stretto.
Alcuni commentatori (Amendola)
hanno criticato tale impostazione,
richiamando il vecchio
orientamento della Corte di
Giustizia secondo cui la mera
cernita non è di per sé idonea a
determinare la cessazione della
qualifica di rifiuto, così come
pure non lo è la circostanza
che il materiale risponda a
determinate specifiche tecniche
e ciò in quanto esso, per non
essere più considerato rifiuto,
deve essere effettivamente
riciclato nel successivo ciclo
di produzione, di talché non
possa più essere distinto dalle
altre materie prime utilizzate
(sentenze 15 giugno 2000, 11
novembre 2004, 22 dicembre
2008; v. anche parere motivato
della Commissione europea
2005/4051 del 13 dicembre 2005,
diretto all’Italia e riguardante le
materie prime secondarie per
l’industria siderurgica). In realtà,
considerare la preparazione
per il riutilizzo una operazione
di recupero soggetta ad
autorizzazione (e dunque al
controllo preventivo e prescrittivo
della Pubblica Amministrazione)
è maggiormente cautelativo,
dal punto di vista ambientale,
di quanto non avvenisse in
passato, è coerente con il 22°
considerando della Direttiva
2008/98/CE e con i successivi
Regolamenti sull’End of Waste
e non esclude certo ciò che, in
nuce, era già stato espresso dalle
predette sentenze della Corte di
Giustizia e cioè che la cessazione
della qualifica di rifiuto è un
concetto relazionale (similmente
a quello di sottoprodotto), che
presuppone, oltre al rispetto
delle condizioni oggettive,
l’utilizzo certo, ossia effettivo del
materiale.
È evidente che, se il materiale
non trova allocazione sul
mercato, esso, ancorché
commercializzato come prodotto,
debba essere considerato
nuovamente rifiuto (anche
perché, se lasciato in deposito
sine die, viene materialmente
sottoposto ad un’operazione di
smaltimento – deposito su suolo
– o comunque determina un
abbandono di rifiuti).
La disciplina europea non
contempla alcun periodo
transitorio, ma, secondo
un’interpretazione avallata anche
dal documento “Guidance on the
interpretation of key provisions
of Directive 2008/98/EC” del
2012, gli Stati membri possono
definire, nelle more dell’adozione
di criteri in sede unionale, ulteriori
criteri End of Waste nazionali,
anche caso per caso, dandone
comunicazione alla Commissione
europea.
A livello nazionale, i criteri
normativi per la cessazione della
qualifica di rifiuto continuano
ad essere dettati dai previgenti
decreti ministeriali, vale a dire
il DM 5/2/1998 sui rifiuti non
pericolosi; il DM 161/2002 sui
rifiuti pericolosi; il DM 269/2005
sui rifiuti pericolosi provenienti
dalle navi. È stato in seguito
15
n.13 marzo 2014
(3) V. art. 183, comma 1, lettera q) DLgs 152/2006 che definisce ‘preparazione per il riutilizzo’ come: “le operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o
componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento”. L’articolo 184-ter precisa che “un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato
sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: (…)” (comma 1) e che
“l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni” (comma 2).
1...,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14 16,17,18,19,20,21,22,23,24,25,...86
Powered by FlippingBook