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marzo 2015

impresa che svolga anche una funzione di

benessere sociale nella propria comunità.

E che ruolo devono avere i giovani in que-

sto processo?

“Non ci sono imprese sociali e non, tutte

le imprese che davvero si possono definire

tali svolgono una funzione positiva per la

società: creano benessere, danno lavoro,

incentivano la ricerca, creano opportunità

per i giovani e ricchezza sui territori dove

operano. Sono ambasciatori positivi dell’I-

talia nel mondo. L’imprenditore che non

pensi che questi aspetti fanno parte del

suo lavoro, ma che basti il solo profitto da

raggiungere con qualsiasi mezzo a legitti-

mare ogni sua azione, non è un imprendi-

tore e la sua non è una vera impresa”.

Al convegno di Santa Margherita Ligure,

don Ciotti ha parlato di ‘dignità del lavo-

ro’. Un imprenditore come Brunello Cuci-

nelli si mette in gioco e dichiara di investi-

re in Bellezza. Parole ed esempi forti. Qual

è la sua visione su questo binomio affasci-

nante: etica e impresa?

“Sono l’una il presupposto dell’altra. Il mi-

glior modo per combattere l’illegalità e la

criminalità, anche quella mafiosa, infatti

tere la distanza fra aule e imprese e creare

un percorso di inserimento degli studenti

nel mondo del lavoro”.

È di attualità il tema del reshoring. È una

vittoria del Made in Italy o la sconfitta di

quegli imprenditori che hanno delocalizza-

to negli anni scorsi?

“È una vittoria dell’Italia nel suo comples-

so. Perché significa che è ancora possibile

fare impresa qua da noi e che per gli im-

prenditori accanto alla spinta dettata dalla

convenienza è forte anche l’attaccamento

al proprio territorio, che ci ha permesso

di diventare la seconda potenza manifat-

turiera d’Europa. Le imprese rilocalizzate

negli ultimi anni sono circa 70, non solo di

moda ma anche di industria elettronica e

meccanica, e i motivi sono tanti: dall’au-

mento del costo della logistica e della ma-

nodopera estera, alla forza del marchio

Made in Italy, sempre più sinonimo di qua-

lità e di garanzia su tutti i mercati, fino al-

la preparazione dei lavoratori italiani che,

quando si punta su innovazione e qualità,

sono insostituibili. Questo è avvenuto sen-

za un piano di politica industriale come

il back to manufactoring USA; se anche il

nostro Paese mettesse in campo strumenti

di questo tipo, da fenomeno circoscritto il

reshoring diventerebbe realtà diffusa”.

In Italia c’è il costo dell’energia più alto

d’Europa, da anni manca un Piano ener-

getico nazionale. In altri Paesi addirittura

sono stati individuati dei comparti strate-

gici sui quali puntare. Questa mancanza di

programmazione politico-economica può

essere sempre supplita dalla volontà delle

imprese o dal brandMade in Italy?

“No. Serve una politica industriale seria,

fatta da Governo e parti sociali insieme, che

definisca non solo un piano energetico più

sostenibile - perché se pensiamo che l’Italia

debba diventare il primo hub energetico per

l’Europa è necessario diversificare i nostri

mercati di approvvigionamento e rendere

più flessibili le nostre infrastrutture - ma che

individui quali sono i settori su cui puntare

agevolando gli investimenti e creando gli

strumenti adatti, dalle infrastrutture alla

ricerca applicata. Oggi questa politica indu-

striale, purtroppo, ancora non si vede”.

Presidente, in questa crisi economica e

sociale è possibile costruire un modello di