20
marzo 2015
impresa che svolga anche una funzione di
benessere sociale nella propria comunità.
E che ruolo devono avere i giovani in que-
sto processo?
“Non ci sono imprese sociali e non, tutte
le imprese che davvero si possono definire
tali svolgono una funzione positiva per la
società: creano benessere, danno lavoro,
incentivano la ricerca, creano opportunità
per i giovani e ricchezza sui territori dove
operano. Sono ambasciatori positivi dell’I-
talia nel mondo. L’imprenditore che non
pensi che questi aspetti fanno parte del
suo lavoro, ma che basti il solo profitto da
raggiungere con qualsiasi mezzo a legitti-
mare ogni sua azione, non è un imprendi-
tore e la sua non è una vera impresa”.
Al convegno di Santa Margherita Ligure,
don Ciotti ha parlato di ‘dignità del lavo-
ro’. Un imprenditore come Brunello Cuci-
nelli si mette in gioco e dichiara di investi-
re in Bellezza. Parole ed esempi forti. Qual
è la sua visione su questo binomio affasci-
nante: etica e impresa?
“Sono l’una il presupposto dell’altra. Il mi-
glior modo per combattere l’illegalità e la
criminalità, anche quella mafiosa, infatti
tere la distanza fra aule e imprese e creare
un percorso di inserimento degli studenti
nel mondo del lavoro”.
È di attualità il tema del reshoring. È una
vittoria del Made in Italy o la sconfitta di
quegli imprenditori che hanno delocalizza-
to negli anni scorsi?
“È una vittoria dell’Italia nel suo comples-
so. Perché significa che è ancora possibile
fare impresa qua da noi e che per gli im-
prenditori accanto alla spinta dettata dalla
convenienza è forte anche l’attaccamento
al proprio territorio, che ci ha permesso
di diventare la seconda potenza manifat-
turiera d’Europa. Le imprese rilocalizzate
negli ultimi anni sono circa 70, non solo di
moda ma anche di industria elettronica e
meccanica, e i motivi sono tanti: dall’au-
mento del costo della logistica e della ma-
nodopera estera, alla forza del marchio
Made in Italy, sempre più sinonimo di qua-
lità e di garanzia su tutti i mercati, fino al-
la preparazione dei lavoratori italiani che,
quando si punta su innovazione e qualità,
sono insostituibili. Questo è avvenuto sen-
za un piano di politica industriale come
il back to manufactoring USA; se anche il
nostro Paese mettesse in campo strumenti
di questo tipo, da fenomeno circoscritto il
reshoring diventerebbe realtà diffusa”.
In Italia c’è il costo dell’energia più alto
d’Europa, da anni manca un Piano ener-
getico nazionale. In altri Paesi addirittura
sono stati individuati dei comparti strate-
gici sui quali puntare. Questa mancanza di
programmazione politico-economica può
essere sempre supplita dalla volontà delle
imprese o dal brandMade in Italy?
“No. Serve una politica industriale seria,
fatta da Governo e parti sociali insieme, che
definisca non solo un piano energetico più
sostenibile - perché se pensiamo che l’Italia
debba diventare il primo hub energetico per
l’Europa è necessario diversificare i nostri
mercati di approvvigionamento e rendere
più flessibili le nostre infrastrutture - ma che
individui quali sono i settori su cui puntare
agevolando gli investimenti e creando gli
strumenti adatti, dalle infrastrutture alla
ricerca applicata. Oggi questa politica indu-
striale, purtroppo, ancora non si vede”.
Presidente, in questa crisi economica e
sociale è possibile costruire un modello di