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n.11 settembre 2013
la configurazione fill and drain permetterebbe
di potenziare le caratteristiche dei sistemi
convenzionali, a fronte di un certo grado di
ingegnerizzazione (
Green M. et al.
1997).
L’ampia diffusione di questi sistemi è dovuta
a semplicità, economicità (nel caso di
disponibilità di aree di adeguata estensione)
e sostenibilità ambientale. Tuttavia, sono
emerse anche le criticità di tali sistemi,
e in alcuni casi esperienze poco felici
condizionate da basse performance e scarsa
qualità degli effluenti trattati hanno portato
a ritenere i sistemi di fitodepurazione poco
affidabili e poco efficienti. Effettivamente,
nella applicazione di tali sistemi possono
emergere alcuni aspetti critici che se
non correttamente considerati possono
pregiudicare l’efficienza di trattamento
e il mantenimento di una buona qualità
dell’effluente nel tempo.
Aspetti critici nella realizzazione
e gestione dei sistemi CW
Il criterio più utilizzato nel dimensionamento
dei sistemi CW a flusso sub-superficiale è
senz’altro la superficie specifica, espressa in
m2/AE, impiegando linee guida o specifiche
normative emanate da organismi nazionali
(tra cui Germania, Austria, Regno Unito,
Danimarca, Italia, …), di cui si riporta un
Conosciuta da più di un secolo, la
fitodepurazione è stata in Italia spesso
sottovalutata. La tecnica è usata per il
trattamento delle acque reflue in gran
parte del mondo, ma le sue potenzialità
non sono state ancora completamente
esplorate. Allo stato attuale, con la tendenza
a preferire impianti di depurazione sempre
più tecnologici e compatti, la fitodepurazione
con le grandi superfici che richiede a fronte
di piccoli numeri di abitanti equivalenti trattati,
rischia di essere sempre più relegata in un
ruolo di finissaggio ‘ecologico’, per apporre
una firma naturale al termine di una filiera di
depurazione fatta di macchine e reattori.
L’etimologia del termine italiano
fitodepurazione associa il ruolo depurativo
primariamente alle piante, mentre il termine
inglese constructed wetlands (CW) sta ad
indicare zone umide realizzate artificialmente,
includendo quindi sia l’azione delle piante
che dei microrganismi che si sviluppano
nel sistema, il cui ruolo può essere
preponderante, ma soprattutto l’artificialità
di un sistema, ben lungi dal poter essere
considerato un sistema naturale.
Da quando è nata l’idea di sfruttare zone
umide artificiali per la depurazione delle
acque, le constructed wetlands hanno
subito una continua evoluzione: dalle
analisi chimiche e microbiologiche sempre
più avanzate alla modellistica, si indagano
le possibilità ancora non sfruttate della
fitodepurazione portando all’evoluzione della
tecnica di base (il passaggio di un refluo
attraverso uno strato di terreno artificiale
piantumato) verso configurazioni innovative.
Oltre alla nota distinzione tra CW a flusso
sub-superficiale verticale (Vssf, Vertical
Sub-Surface Flow) od orizzontale (Hssf,
Horizontal Sub-Surface Flow), recentemente
è stata introdotta una più dettagliata
classificazione dei sistemi Vssf sulla base
del comportamento idraulico, distinguendo 3
categorie principali (Figura 1):
• fill and drain (detto anche tidal flow): il
sistema viene riempito con il refluo fino a un
determinato livello idrico, poi viene svuotato
rapidamente, alternando condizioni sature e
insature;
• down flow: il refluo viene immesso dall’alto
in modo discontinuo ed attraversa il sistema
insaturo per gravità (con drenaggio libero sul
fondo);
• up flow: il refluo viene immesso dal basso e
fuoriesce nella parte alta, rendendo il sistema
costantemente saturo.
Le applicazioni più diffuse restano tuttavia
quelle dei sistemi Vssf down flow, più
semplici dal punto di vista realizzativo, mentre
Figura 1 - Classificazione delle Constructed Wetlands come proposto da Fonder e Headley (2011)