Ecologia alimentare: profumo di zucchero

Pubblicato il 28 aprile 2014

Mi ricordo, d’estate, in tante parti d’Italia, dal Veneto alla Puglia, l’acre odore, o profumo, degli zuccherifici, un odore che “sapeva” di barbabietola e di melasso, di polpe e di lavoro umano nell’estate rovente, nei campi, nelle fabbriche. Tanti anni fa molti studenti universitari o insegnanti in vacanza, nei quaranta giorni della “campagna saccarifera”, trovavano un piccolo guadagno nei laboratori degli zuccherifici, addetti all’analisi, un carro dopo l’altro, del contenuto zuccherino di ciascuna delle partite di barbabietole che entravano nella fabbrica.

In quelle poche settimane estive, senza respiro e interruzione, le barbabietole mature sono raccolte e portate, in lunghe code di camion, negli zuccherifici.

L’estrazione dello zucchero consiste in un lungo e delicato processo; le barbabietole ancora sporche di terra vengono lavate e poi tagliate in piccoli pezzi, “fettucce”, e inviate in adatti reattori dove l’acqua calda fa uscire lo zucchero dalle cellule delle radici; si ottiene una soluzione contenente dal 10 al 15% di zucchero e una massa di residui cellulosici quasi privi di zucchero, le “polpe”, adatti all’alimentazione del bestiame; circa 8 chili di polpe secche per ogni 100 chili di barbabietole lavorate.

La soluzione di zucchero ancora impuro viene addizionata con calce: si forma un fango insolubile e si ottiene una soluzione di zucchero quasi puro che viene concentrata in adatti distillatori. Il fango, detto “di defecazione”, in parte viene utilizzato come concime nei campi.

In seguito all’evaporazione dell’acqua nei distillatori, si ottiene una soluzione contenente circa il 60% di zucchero che cristallizza in seguito a raffreddamento. Qui interviene una vera e propria arte; operai specializzati riescono a far formare cristalli di zucchero tutti uguali, come vogliono i consumatori.

La massa viscosa di colore bruno viene sottoposta a centrifugazione; si separano i cristalli di zucchero che vengono sottoposti a successivi lavaggi e centrifugazioni, fino ad ottenere quei bellissimi cristalli bianchi, tutti uguali, che troviamo nelle scatole di zucchero comprate nel negozio. Nei due secoli della sua vita, l’industria dello zucchero di barbabietola ha imparato a utilizzare e riciclare (quasi) tutti i sottoprodotti; tutti i liquidi di lavaggio sono addizionati alle soluzioni di zucchero greggio per recuperare lo zucchero che ancora contengono; alla fine si ottiene un liquido viscoso e di colore bruno, il “melasso”, che contiene ancora il 60% di zucchero, circa un settimo dello zucchero iniziale, insieme a varie sostanze azotate. Il melasso è usato sia per l’alimentazione del bestiame, sia come materia prima per l’industria delle fermentazioni, dall’alcol etilico ad antibiotici e amminoacidi.

Nel 1985 in Italia funzionavano una quarantina di zuccherifici, con una produzione di circa un milione e mezzo di tonnellate all’anno; il loro numero era ridotto a 17 nel 2000; ora viene prodotto zucchero da barbabietole, circa 400.000 tonnellate all’anno, soltanto in quattro zuccherifici; la produzione nazionale è appena un quarto del fabbisogno interno, la differenza, circa 1,2 milioni di tonnellate all’anno, viene importata. Nel mondo, ogni anno, si producono 65 milioni di tonnellate di zucchero dalle barbabietole e 130 milioni di tonnellate dalla canna.

Saranno gli accordi europei e mondiali, ma si stringe al cuore a pensare al lavoro perduto, in Italia, nei campi e nelle fabbriche, alle competenze perdute in una attività che era riuscita a perfezionare i suoi cicli produttivi con basso impatto ambientale negativo. Tanto più che, pur davanti a consumi mondiali di zucchero abbastanza costanti, ci sarebbero prospettive per l’utilizzazione dello zucchero anche come materia prima per sintesi chimiche, per una “saccarochimica” del futuro.

 

Foto di Roman Behar

Giorgio Nebbia



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