Energia_Ambiente_12 - page 97

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n.12 novembre 2013
successi, come mostrò Charles Henry Pope (1841-
1918) nel libro intitolato: ‘Solar heat. Its practical
applications’, pubblicato nel 1903.
Pro e contro dei sistemi solari a specchi
Secondo la strada tracciata daAuguste Mouchot
(1825-1912), di cui si è parlato nella puntata
precedente (E&Aoggi, 2013,
1
, 76) Aubrey Eneas
(1860-1920), un inglese immigrato negli Stati
Uniti, costruì inArizona una macchina a vapore
alimentata con il calore solare concentrato mediante
un grande paraboloide, del diametro di dieci metri,
contenente 1.788 specchi di piccole dimensioni
che concentravano il calore solare su una caldaia.
Appena il dispositivo era orientato verso il Sole
l’acqua cominciava a bollire, il tutto ‘di bell’aspetto
e decisamente brillante’, utile per sollevare l’acqua
per l’irrigazione. “Senza bisogno di combustibili ed
economica”, come lo descrisse entusiasticamente il
giornale localeArizona Republican, nel suo numero
del 14 febbraio 1901. Nella speranza di qualche
successo commerciale Eneas creò una piccola
azienda, la Solar Motor Company, che fallì però dopo
breve tempo.
Poco dopo molto effetto fece la notizia di una
macchina termica, costruita nel 1912 in Egitto
dall’americano Frank Schuman (1862-1918). Rispetto
ai precedenti sistemi a specchi parabolici, Schuman
usò degli specchi cilindro-parabolici nel cui fuoco era
posto un tubo contenente l’acqua da far evaporare. La
macchina forniva 50 kW sufficienti per alimentare un
sistema di irrigazione. Per sfruttare la sua invenzione
Schuman creò una società, la SUN Power Company,
anche quella con limitato successo commerciale.
Il problema più grave dei sistemi solari a specchi
era l’intermittenza della disponibilità della radiazione
solare. Un americano di Boston, M.L.Severy, propose
allora in vari brevetti, all’inizio del Novecento, di
usare il calore solare, raccolto mediante specchi, per
sollevare l’acqua in un serbatoio elevato; la discesa
dell’acqua dal serbatoio avrebbe potuto azionare una
piccola turbina con cui sarebbe stato possibile avere
energia anche di notte.
I collettori solari a specchi, con concentrazione,
avevano, e hanno tuttora, comunque altri
due inconvenienti. Gli specchi devono essere
continuamente tenuti in movimento per ‘seguire’
il Sole nel suo moto apparente nel cielo, variabile
di giorno in giorno, e possono utilizzare soltanto la
radiazione diretta, quella disponibile quando il cielo
è sereno, il che è maggiormente frequente alle
basse latitudini ma, in altre condizioni geografiche,
rappresenta soltanto una frazione della radiazione
solare totale. Le difficoltà potevano essere superate
mediante collettori piani; il francese Charles Tellier
(1828-1913), ricordato nella puntata precedente
(E&Aoggi, 2013,
1
, 77), li aveva già adottati per le
sue macchine solari. La radiazione solare veniva
fatta arrivare su una superficie metallica, isolata
termicamente e contenente acqua, rivestita di una
lastra di vetro che trattiene la radiazione solare, sia
diretta, sia diffusa; in questo modo era possibile
scaldare l’acqua a temperature fino a circa 80-90
gradi. Con questa acqua calda era possibile far
evaporare un fluido frigorifero come ammoniaca o
anidride solforosa liquide, e sfruttare il loro vapore
per azionare un motore. Sullo stesso principio gli
americani H.E. Willsie e John Boyle Jr. costruirono
dei collettori solari piani; l’acqua così scaldata veniva
trasferita in un serbatoio isolato da cui era prelevata;
per far funzionare un motore ad anidride solforosa
‘giorno-e-notte’. Nel 1904 Willsie costruì due motori,
uno da 5 kW a St.Louis nel Missouri e uno da 11
kW a Needles, in California. L’idea era ingegnosa
ma i potenziali clienti erano dubbiosi e anche la loro
ditta, SUN Power Company, come altre del periodo,
scomparve. Di Willsie e Boyle rimane il ricordo in una
lapide a Ollney, Illinois, dove fu realizzato il loro primo
motore.
Più semplice era la soluzione di usare i collettori
piani per offrire direttamente acqua calda per usi
domestici. Vari inventori, fra cui Clarence Kemp
(morto nel 1911), costruirono e offrirono dei collettori
solari piani, costituti da una vasca o scatola poco
profonda, chiusa superiormente da una lastra
di vetro, contenente una piastra metallica e una
tubazione in cui circolava l’acqua; l’acqua scendeva
da un serbatoio sopraelevato, veniva scaldata
nella tubazione esposta al Sole e risaliva per effetto
termosifone nel serbatoio da cui poteva essere
prelevata per usi di cucina o di bagni anche di notte.
In questo modo era possibile risparmiare le spese del
carbone o dell’elettricità. Kemp costituì una società
chiamata Climax che ebbe anche un certo successo
commerciale. Qualche successo ebbe anche la ditta
Day and Night Solar Heater Co. costituita nel 1909
da William J. Bailey per vendere simili collettori solari.
Insomma degli scaldacqua simili a quelli che vengono
venduti ancora oggi.
Auto solare
Stazione sperimentale del Politecnico di Milano
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