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IMPRONTE
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n.11 settembre 2013
ingegnere di origine svedese, Charles Wilson
(1832-1901), nel 1872 progettò e costruì un
distillatore solare della super¿cie di 4.400 m
2
. Il
distillatore era costituito da 64 vasche di legno,
poco profonde, nelle quali veniva immessa
l’acqua salmastra; sulla super¿cie delle vasche
era posta una lastra di vetro inclinata, che
chiudeva perfettamente il distillatore. L’energia
del Sole, molto intensa a quelle latitudini,
passava attraverso la lastra di vetro e scaldava
l’acqua salmastra che in parte evaporava. Il
vapore acqueo incontrava la super¿cie interna
della lastra di vetro che, essendo a contatto
con l’aria esterna, era più fredda dell’acqua
salmastra. In questo modo il vapore acqueo
si condensava sotto forma di acqua priva di
sali che veniva raccolta, a mano a mano che
si formava sulle pareti interne della copertura
di vetro. La distillazione cominciava alle 10
di mattina e continuava lentamente anche
dopo il tramonto, ¿n verso le 10 di sera. La
produzione massima era di 22.000 litri di acqua
al giorno, con una produzione media di circa
4 litri al giorno per m
2
di super¿cie esposta. Il
distillatore di Salinas restò in funzione ¿no al
1908.
Il fenomeno della fotoelettricità
Nel frattempo gli studiosi si erano resi conto
che ben altro poteva essere ottenuto dal Sole.
Nel 1839 il ¿sico francese Alexandre Edmond
Becquerel (1820-1891), ¿glio di Antoine Cesar
Becquerel (1788-1878), a sua volta padre di
Henri Becquerel (1852-1908), quest’ultimo
scopritore della radioattività (una generazione
di ¿sici illustri), studiando il passaggio di
corrente fra due lamine di platino immerse
in una soluzione del cloruro dello stesso
metallo, osservò che la corrente aumentava
se una delle due lamine era esposta alla luce
e l’altra era tenuta al buio. I risultati di questo
esperimento furono pubblicati col titolo: “Sugli
effetti elettrici della radiazione solare”, nei
Comptes Rendu de l’Académie des Sciences
di
Parigi, vol. 9, pagine 561-567 del 4 novembre
1839. Con questi esperimenti nasceva la
tecnica di produzione di elettricità direttamente
dal Sole.
Contemporaneamente altri avevano scoperto
che una corrente elettrica poteva essere
generata esponendo alla luce o al Sole delle
saldature fra differenti metalli conduttori. Si
trattava soltanto di trovare dei materiali adatti.
Un passo avanti fu fatto da Willoughby Smith
(1828-1891), un impiegato in una fabbrica
che produceva la guttaperca, una resina
usata per l’isolamento dei cavi elettrici per
i collegamenti telegra¿ci sottomarini. Nelle
prove di isolamento dei cavi Smith usò delle
barrette di selenio metallico, considerato un
cattivo conduttore dell’elettricità e scoprì che
le proprietà elettriche del selenio variavano
quando era tenuto al buio, rispetto a quando
era esposto al Sole. Al buio le barrette di
selenio non lasciavano passare l’elettricità e
alla luce diventavano, sia pure limitatamente,
conduttrici di elettricità. Questo effetto fu
pubblicato nel fascicolo di febbraio 1873 della
rivista
Nature
.
Colpiti da questa strana proprietà altri due
inglesi, William Grylls Adams (1836-1915,
diverso dal William Adams di cui si è citato il
libro sui motori solari pubblicato a Bombay)
e Richard Evans Day, condussero altri
esperimenti e confermarono che nel selenio
esposto alla luce si generava una corrente
elettrica che cessava quando la super¿cie di
selenio era tenuta al buio; essi chiamarono
questo fenomeno ‘fotoelettricità’.
Ormai erano aperte le porte per la produzione
di elettricità direttamente dalla luce del Sole. Al
¿anco di alcune applicazioni commerciali come
le celle fotoelettriche per l’apertura e chiusura
automatica delle porte o per gli esposimetri
delle macchine fotogra¿che, il selenio fu
impiegato per la costruzione delle prime
cellule fotovoltaiche solari in senso moderno.
L’americano Charles Fritts (1850-1903)
realizzò dei pannelli fotovoltaici stendendo un
sottile strato di selenio su una lastra di metallo
e constatò che producevano una corrente
elettrica quando erano esposti sia alla luce
solare, sia alla luce arti¿ciale.
Fritts mandò uno dei suoi pannelli fotovoltaici
al grande ¿sico tedesco Werner von Siemens
(1816-1892) che ne riferì all’Accademia reale
di Prussia e pubblicò nel 1885 un articolo “sulla
forza elettrica generata dal selenio esposto
alla luce, scoperta dal sig. Fritts di New York”.
Il cammino per la comprensione del fenomeno
delle fotoelettricità era ancora lungo: ci sarebbe
voluto Einstein (1879-1955) per spiegare che
la luce ‘contiene’ dei fotoni dotati di energia,
i quali mettono in moto gli elettroni all’interno
di alcuni materiali come il selenio e, si vide in
seguito, il silicio e altri ancora.
Quasi contemporaneamente, del problema
della foto e termoelettricità solare si occupò
l’italiano Antonio Pacinotti (1841-1912), quello
che, appena diciottenne, aveva scoperto la
dinamo, un dispositivo per produrre elettricità
dal moto di rotazione di una ruota contenente
un conduttore di elettricità.
Pacinotti, che sarebbe diventato professore
di Fisica all’Università di Pisa, osservò che la
corrente elettrica che si formava fra due lastre
dello stesso metallo, una tenuta al buio e una
esposta alle radiazioni di diversa lunghezza
d’onda, era maggiore con la radiazione blu
e minore con la radiazione rossa. Pacinotti,
appena ventiduenne, pubblicò i risultati dei
suoi studi sull’effetto fotoelettrico in due
articoli intitolati, “Correnti elettriche generate
dal calorico e dalla luce”, pubblicati nel 1863
e nel 1864 nella rivista “Il Nuovo Cimento”.
In varie lettere, scritte dal 1863 in avanti,
Pacinotti teneva al corrente il padre Luigi dei
progressi delle sue ricerche e di varie idee
sull’utilizzazione dell’energia solare anche
come fonte di calore e per la distillazione
dell’acqua. “Carissimo Babbo, scriveva nel
1865, la forza grande della natura sulla Terra,
per utilizzare la quale direttamente gli uomini
non hanno fatto nulla ¿no ad ora, ma che pure
utilizzandosi parzialmente di per se stessa con
i processi naturali è la sorgente di attività sul
nostro pianeta, è il calore solare”.
La possibilità di fare i conti sull’ef¿cienza delle
macchine solari, a mano a mano che venivano
costruite - quanta energia utile si ottiene per
unità di energia solare disponibile - si ebbe
dopo le misure dell’intensità della radiazione
solare fatte da Samuel Pierpont Langley (1834-
1906) negli anni ottanta dell’Ottocento. Oggi
si sa che l’intensità della radiazione solare
fuori dall’atmosfera è di circa 8 MJ/m
2
´ora;
quella che arriva sulla super¿cie terrestre
varia da luogo a luogo e si aggira in media
intorno a 18 MJ/m
2
´anno, 1.000.000 EJ/anno
sull’intero pianeta. Con queste informazioni
si poteva stimare la convenienza economica
dell’energia solare rispetto alle altre fonti di
energia commerciali: il XIX secolo ¿niva con
una tecnologia solare ormai matura; i principali
problemi tecnico-scienti¿ci sono stati capiti e
risolti e il Novecento poteva quindi cominciare
con la commercializzazione di apparecchi
solari e con l’età moderna della nuova,
antichissima fonte di energia.
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