Reattori Tppb per rimuovere i composti xenobiotici da reflui industriali

Pubblicato il 29 gennaio 2016

La depurazione di acque di scarico industriali rappresenta una seria criticità ambientale in quanto sono caratterizzate da elevata eterogeneità in termini di composizione e portate e dalla presenza di contaminanti di difficile biodegradabilità ed elevata persistenza nell’ambiente. Il loro carico inquinante è, infatti, costituto essenzialmente da xenobiotici, in particolare composti aromatici e alogenati. L’approccio generalmente adottato nella rimozione di composti xenobiotici da reflui industriali prevede l’impiego di processi chimico-fisici quali adsorbimento, stripping e ossidazione chimica. Tali processi sono in grado di garantire efficienze elevate ma i primi due hanno lo svantaggio di non realizzare una reale degradazione del composto ma solo il trasferimento da una fase diluita ad una concentrata (che deve comunque essere ulteriormente trattata e/o smaltita) mentre l’ossidazione può dar luogo alla formazione di intermedi con grado di tossicità analogo a quello della sostanza originaria. In alternativa ai trattamenti chimico-fisici convenzionali, la rimozione biologica di composti xenobiotici, che consente potenzialmente la loro mineralizzazione, continua ad essere una sfida per la ricerca. La biodegradazione di xenobiotici è, infatti, fortemente influenzata dall’inibizione da substrato dei microorganismi, che può dar luogo a drastiche riduzioni delle cinetiche di processo.
È necessario, pertanto, sviluppare soluzioni tecnologiche innovative in grado di ridurre i problemi legati alla tossicità da substrato, e garantire prestazioni stabili e versatili a diverse condizioni di carico compatibilmente ad un bilancio tecnico-economico positivo. La ricerca di una tecnologia che potesse limitare l’effetto di inibizione mantenendo, però, la possibilità di operare con alte concentrazioni di substrato, necessarie per avere velocità di reazione accettabili per le applicazioni, ha condotto allo sviluppo di reattori Tppb (Two-Phase Partitioning Bioreactors).

La tecnologia
Caratteristica fondamentale dei reattori Tppb (Figura 1), è quella di ottimizzare l’alimento di substrato, ossia di mantenere nell’ambiente di reazione livelli di concentrazione tali da minimizzare gli effetti di riduzione dell’attività biologica e al tempo stesso garantire elevate cinetiche di reazione compatibili con un bilancio tecnico-economico positivo [1].
Il principio di funzionamento si basa sull’aggiunta, ad un reattore biologico convenzionale, di una fase immiscibile di partizione, in grado di immagazzinare elevate quantità di substrato, che si distribuisce, in funzione del coefficiente di partizione, tra la fase acquosa e la fase di partizione. In tal modo, pur alimentando elevate quantità di substrato al bioreattore, i microrganismi sono esposti a ridotti (sub-inibitori) livelli di concentrazione. Il trasferimento di substrato tra le due fasi è governato dai processi metabolici: il consumo di substrato, ad opera dei microorganismi presenti nella fase acquosa, causa il conseguente trasferimento di nuovo substrato dalla fase di partizione per ristabilire l’equilibrio termodinamico, regolando così l’alimentazione di substrato ai microrganismi in funzione della cinetica di biodegradazione.
L’efficace funzionamento del sistema è strettamente dipendente dalle caratteristiche della fase di partizione: il solvente, oltre all’immiscibilità con la fase acquosa, deve essere caratterizzato da ridotta volatilità, biocompatibilità (non tossico per i microrganismi), non biodisponibilità (non utilizzabile dai microrganismi), ed elevata affinità per il composto tossico [2]. Un limite del sistema Tppb con solvente liquido è la possibilità che il solvente sia biodisponibile, diventando, a seguito di processi di acclimatazione della biomassa, un substrato alternativo, come potrebbe accadere con colture miste, utilizzate nel trattamento di acque di scarico industriali.
L’uso di particelle solide di natura polimerica costituisce una valida alternativa ai solventi liquidi [3] in quanto molti polimeri sono in grado di assorbire composti xenobiotici e rilasciarli in modo controllato, agendo per ‘assorbimento’ analogamente a solventi liquidi. I polimeri presentano, rispetto ai solventi, ulteriori vantaggi in quanto resistenti alla degradazione microbica, non danno luogo a formazione di emulsioni, sono chimicamente inerti, facilmente riutilizzabili e poco costosi. Inoltre, essi possono essere sagomati e adattati alla volumetria del reattore e la loro selettività migliorata attraverso la selezione del monomero costituente, l’aggiunta di gruppi funzionali o con copolimerizzazione e cross-linking, in modo da ‘adattare’ le loro proprietà di sequestro/rilascio in relazione ai composti tossici da rimuovere. Infine, la forma solida, rende più facile la loro manipolazione ed il loro recupero completo al termine del processo.
Una recente opportunità applicativa del processo prevede l’impiego di polimeri di recupero quali mezzi assorbenti, con l’intento di riutilizzare un ‘rifiuto’ per il trattamento di un altro rifiuto che, oltre ad avere il vantaggio del costo inferiore [4], risponde alla caratteristiche di sostenibilità ambientale promuovendo il riutilizzo di un prodotto di scarto. Oggetto di precedenti studi [5,6] è stata l’applicazione di pneumatici usati ridotti in forma granulare come alternativa ai polimeri commerciali.

Caso di studio: rimozione di clorofenoli
I composti fenolici, per la loro buona solubilità in fase acquosa, sono estremamente diffusi nelle acque superficiali e sotterranee, nelle quali vengono introdotti per cause naturali ma soprattutto antropiche, dato il massiccio uso di tali composti e dei loro precursori in campo industriale ed agricolo. Nel settore chimico i fenoli sono presenti negli scarichi di diverse tipologie di impianti quali quelli di conversione del carbone, cokerie, raffinerie ed industrie petrolchimiche, lavorazione di resine e fibre di vetro e produzione di erbicidi. I composti fenolici più critici per il loro impatto ambientale e per gli effetti sulla salute umana sono i clorofenoli, che tendono ad accumularsi nelle matrici biologiche.
Il caso di studio riportato in questo lavoro è relativo alla biodegradazione del 2,4-diclorofenolo (DCP) composto rappresentativo della classe dei clorofenoli la cui presenza nell’ambiente deriva principalmente dall’idrolisi del diffusissimo diserbante acido 2,4-diclorofenossiacetico e dalla foto-degradazione del triclosan, comune antibatterico e antifungino. Esso è un composto xenobiotico difficilmente biodegradabile in quanto, al di sopra di un valore soglia di concentrazione inibisce l’attività microbica (il suo EC50, ossia il valore di concentrazione che dimezza l’attività microbica, misurato mediante test Microtox, è pari a 5 mg/L [7]). 

Metodologia

Figura 2 - Polimero commerciale Tone (a) e pneumatico di scarto (b).

Figura 2 – Polimero commerciale Tone (a) e pneumatico di scarto (b).

Nella sperimentazione proposta sono stati testati come fasi di partizione un polimero commerciale (Figura 2) il Tone (Dow Chemical Canada Inc.) e pneumatici di scarto ridotti in forma granulare (Recovery Technologies Canada Inc.).
È stato utilizzato un reattore sequenziale Sequencing Batch Reactor (SBR) di laboratorio connesso mediante interfaccia ad un computer di controllo di processo. La biomassa è stata sviluppata da un inoculo proveniente da un impianto di trattamento di reflui urbani.
Prove cinetiche di biodegradazione sono state realizzate preliminarmente in reattori batch e quindi nel reattore sia in modalità monofasica che Tppb (rapporto polimero/liquido del 5% v/v) con Tone e pneumatico.

Risultati

Nelle Figure 3a e 3b sono riportati i profili di concentrazione del DCP relativi a prove cinetiche effettuate in batch su sistema convenzionale (controllo) e su sistema a doppia fase con polimero Tone e con pneumatico a due diverse concentrazioni iniziali.

Figura 3 - Profili di concentrazione nelle prove cinetiche batch.

Figura 3 – Profili di concentrazione nelle prove cinetiche batch.

I risultati ottenuti confermano il vantaggio del sistema Tppb, ossia la riduzione della concentrazione del composto tossico a valori sub-inibitori per la biomassa con conseguente miglioramento delle prestazioni del sistema. Nel test a concentrazione iniziale pari a 92 mg/L, in entrambi i sistemi a doppia fase si osserva un effetto positivo sulla cinetica del processo con un visibile incremento della rimozione (31% e 24%, per Tone e pneumatico rispettivamente) rispetto al sistema monofasico. L’effetto positivo della presenza del polimero è meglio evidenziato nella prova condotta a concentrazione più elevata: la biomassa appare visibilmente inibita e non è in grado di degradare il DCP nel sistema a singola fase. Prestazioni decisamente migliori si hanno nei Tppb: che, nonostante l’elevato carico iniziale, raggiungono in meno di 10 ore efficienze di rimozione dell’ordine del 70 e 85%, rispettivamente con pneumatico e Tone.
Le Figure 4a e 4b riportano il confronto tra le prove cinetiche svolte nel reattore SBR in singola e doppia fase, anche in questo caso a due diverse concentrazioni dell’influente alimentato.

Figura 4 - Profili di concentrazione nelle prove cinetiche in reattore.

Figura 4 – Profili di concentrazione nelle prove cinetiche in reattore.

Per il più basso carico di inquinante nell’influente (Figura 4a), la seconda fase nel reattore SBR fornisce benefici evidenti, come già visto per le prove in batch. In particolare, l’effetto dell’assorbimento da parte del polimero/pneumatico nella prima parte della prova riduce considerevolmente i fenomeni inibitori presenti in modo marcato nel sistema monofasico. Inoltre, i tempi di reazione nel sistema Tppb sono ridotti rispetto al reattore convenzionale: il tempo necessario per avere concentrazioni residue di DCP inferiori ai 20 mg/L è dimezzato rispetto a quello richiesto nella prova condotta in singola fase. La marcata riduzione dei tempi di reazione nel sistema a due fasi rispetto a quello convenzionale indica che nel Tppb potrebbero essere trattati carichi influenti più elevati a parità di volume e di durata del ciclo di lavoro.
Effettivamente, per concentrazioni influenti dell’ordine di 250 mg/L (o superiori), la presenza di una fase di partizione diventa necessaria per la biodegradazione: in Figura 4b risulta chiaro come nel reattore convenzionale la rimozione di substrato sia trascurabile, mentre, sia con il Tone che con lo pneumatico, si rilevano efficienze pari a 91 e 83%, rispettivamente, con corrispondenti velocità di rimozione pari a 30,9 e 20,5 mgDCP/L h.

Conclusioni
I risultati ottenuti hanno dimostrato l’efficacia dei reattori Tppb nella rimozione di un composto altamente tossico come il DCP, caratterizzato da una cinetica di biodegradazione lenta e nettamente inibita. Lo stoccaggio del substrato operato inizialmente dal polimero/pneumatico rende possibile lo svolgersi della reazione di biodegradazione anche per elevati carichi influenti. Il fenomeno del rilascio dell’inquinante da parte del materiale assorbente, inoltre non è limitante per le reazioni biologiche, consentendo il raggiungimento di elevate cinetiche di rimozione.
L’effettiva possibilità di impiego di polimeri commerciali nella rimozione di inquinanti da matrici liquide è ulteriormente supportata dalla ridotta quantità di polimero necessaria perché la reazione di biodegradazione abbia luogo: nella sperimentazione descritta, è stato utilizzato un quantitativo di polimero pari a solo il 5% del volume della soluzione da trattare.
L’impiego di pneumatico in forma granulare ha dato risultati incoraggianti: le prestazioni di questo materiale si sono mostrate paragonabili a quelle di polimeri commerciali, il cui costo è nettamente superiore a quello irrisorio del pneumatico stesso. I due polimeri sono stati impiegati per molti cicli di lavoro (circa 40) senza che si rendesse necessaria la loro rigenerazione e/o sostituzione. Inoltre, è stato provato che il quantitativo di inquinante trattenuto dalla fase solida dopo alcuni cicli di lavoro è trascurabile rispetto a quello rimosso (nel caso del Tone, il residuo assorbito ammonta a circa il 5% del composto xenobiotico immesso durante tutta la sperimentazione).

Bibliografia
[1]        A.J. Daugulis, Trends in Biotechnology, 2001, 19, 457.
[2]        H.A. Vrionis, A.M. Kropinski et al., Biotechnol. Bioeng., 2002, 79, 587.
[3]        B.G. Amsden, J. Bochanysz et al., Biotechnol. Bioeng., 2003, 84, 399.
[4]        S.H. Lin, R.H. Juang, J. Environ. Manage., 2009, 90, 1336.
[5]        M.C. Tomei, M.C. Annesini et al., Biotechnol. Lett., 2012, 34, 2037.
[6]        M.C. Tomei, D. Mosca Angelucci et al., Environ. Technol., 2014, 35, 75.
[7]        J.M. Ribo, K.L.E. Kaiser., Chemosphere, 1983, 12, 1421.

 

Maria Concetta Tomei, Domenica Mosca Angelucci, Irsa-CNR, Monterotondo Stazione (Roma)



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