Legambiente analizza la situazione dei gas refrigeranti in Italia

Pubblicato il 24 settembre 2013

Inodori, incolori, non tossici, quindi apparentemente innocui. Se rilasciati in atmosfera, però, intaccano lo strato di ozono o contribuiscono all’effetto serra con effetti protratti per centinaia di anni. Sono i gas refrigeranti – CFC, HCFC e HFC – che assicurano il funzionamento di frigoriferi e condizionatori, fluidi che hanno migliorato la qualità della nostra vita ma che causano un pericoloso inquinamento invisibile.

Per questo l’Unione europea, nell’ambito della sua strategia climatica e dello sforzo politico di contrastare l’innalzamento delle temperature, sta lavorando a un nuovo regolamento da approvare nel 2014. Il documento, già in discussione, riguarda la messa al bando degli HFC e la loro sostituzione con altre sostanze come i refrigeranti naturali. Proprio per le loro proprietà ozono lesive e per il loro elevato potere climalterante gli CFC sono vietati già dal 1994 in base al protocollo di Montreal e gli HCFC sono in corso di dismissione e il loro utilizzo è possibile solo se rigenerati fino a fine 2014.

Legambiente ha fatto il punto sullo stato dell’arte dei gas refrigeranti in Italia, in un convegno organizzato per l’occasione a Roma, dove ha presentato un dossier sull’impatto ambientale, i quantitativi, la gestione e il recupero degli F-gas. L’appuntamento, articolato in due sessioni tematiche – la gestione dei refrigeranti in Italia, i refrigeranti naturali e la nuova normativa europea – e una tavola rotonda, ha visto la partecipazione di rappresentanti delle principali aziende del settore e, tra gli altri, di Ermete Realacci, presidente Commissione ambiente Camera, Stefano Vaccari, Commissione ambiente Senato, Francesco Ferrante, vicepresidente Kyoto Club, Sergio Zanolin, Confindustria, Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente.

“Chiediamo al ministro Andrea Orlando e al vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani – ha dichiarato Ciafani – di spingere per un’Europa senza gas climalteranti a partire da quelli usati per la catena del freddo, mettendo al bando i gas sintetici HFC in ogni settore dove siano presenti le alternative naturali o comunque meno climalteranti e applicare anche in questo settore il principio “chi inquina paga”, come già avviene in altri Paesi”.

Come emerge dal dossier di Legambiente i quantitativi di gas fluorurati all’interno dei circuiti, nelle apparecchiature o nelle schiume isolanti in cui sono stati utilizzati sono elevati. In Italia, nel 2012 le stime indicano che sono stati immessi sul mercato circa 10.600 tonnellate di gas refrigeranti e che lo stock ammonti a circa 100mila tonnellate. Un quantitativo di gas con un potenziale effetto serra di 250 milioni di tonnellate equivalenti, il 50% circa del totale delle emissioni di gas serra annuali a livello nazionale. Mentre la maggior parte dei settori industriali riduce il proprio contributo di gas serra, le emissioni dei gas refrigeranti seguono pericolosamente il trend opposto e sono in costante aumento. in Italia l’incremento, per quanto riguarda gli HFC, negli ultimi dieci anni, rispetto a una diminuzione generale delle emissioni di gas serra del 9%, è addirittura del 341%.

Purtroppo, però, il nostro Paese, nonostante alcune buone esperienze sul fronte dei RAEE (rifiuti elettrici ed elettronici), si colloca ancora agli ultimi posti nella graduatoria europea dei paesi virtuosi nel recupero dei refrigeranti, come dimostra il confronto tra dieci Paesi europei (Inghilterra, Germania, Norvegia, Francia, Olanda, repubblica Ceca, Scozia, Italia, Portogallo, Irlanda). In Italia nel 2010 sono state raccolte 265 tonnellate di CFC, HCFC e HFC da rifiuto, 25 in più rispetto al 2009 ma ancora molto poche rispetto ad altri Paesi europei. Mentre nel nostro Paese infatti in media si raccolgono 4 grammi/abitante, in Germania e in Inghilterra se ne raccolgono 6 volte tanto arrivando a 23 grammi/abitante. Un fatto grave, anche perché per ragioni climatiche il nostro Paese è tra i maggiori utilizzatori di gas refrigeranti.

È necessario, inoltre, nelle more della messa al bando rafforzare il principio fondante dell’UE “chi inquina paga” anche in questo settore: come già avviene in molti paesi europei, serve un’ecotassa a carico di chi introduce nel mercato gas HFC, che presentano un prezzo altissimo all’ambiente, ma anche un costo rilevante di gestione e smaltimento per il privato e la collettività. Questa tassa, oltre a rappresentare un ottimo esempio di leva fiscale green, potrebbe portare, secondo le stime, nelle casse dello Stato italiano almeno 158 milioni di euro all’anno. Soldi che si potrebbero usare come ecobonus per favorire gli acquisti verdi di aziende e cittadini: frigoriferi, condizionatori e pompe di calore a base di gas senza impatti sul clima.



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