Ecologia alimentare: olio di palma

Pubblicato il 26 agosto 2014

Oltre all’olio di oliva l’altro importante olio ricavato da frutti è quello di palma che si ottiene dal frutto della palma da olio; i botanici la chiamano Elaeis guineensis perché è originaria dello Stato africano della Guinea dove l’ha trovata e descritta, nel 1763, il botanico olandese Nikolaus von Jacquin (1727-1807). Il chimico francese Edmond Frémy (1814-1894) ha analizzato la composizione dell’olio di palma ed ha identificato i due principali acidi grassi presenti, l’acido laurico e l’acido palmitico (che ha preso il nome dalla palma da olio), due acidi grassi saturi, cioè privi di doppi legami, solidi.

Ben presto l’olio di palma, l’unico grasso solido, proprio per questa proprietà, ha cominciato ad essere utilizzato industrialmente, nel corso dell’Ottocento, sia come grasso alimentare, al posto del burro, sia per la fabbricazione di saponi e di candele e anche come lubrificante per macchinari. Nel 1848 gli olandesi iniziarono la coltivazione della palma da olio a Giava e nel 1910 lo scozzese William Sime e il banchiere Henry Darby, che avevano già delle piantagioni di gomma in Malesia, pensarono di introdurre la coltivazione della palma da olio in Malesia, allora colonia britannica. La richiesta mondiale di olio di palma aumentò continuamente; dopo l’indipendenza della Malesia le piantagioni furono nazionalizzate, “malesizzate”.

Il frutto della palma pesa da 6 a 20 grammi e contiene una polpa e un seme. La polpa, che contiene circa il 50% di grasso, viene sterilizzata con vapore, e, dopo separazione dei semi, viene cotta e pressata; l’olio di palma che se ne ricava è di colore rosso per l’elevato contenuto di beta-carotene. Il seme a sua volta contiene il 50% di grasso (olio di palmisto), simile all’olio di palma; dopo estrazione dell’olio resta un panello proteico adatto per l’alimentazione del bestiame. Ogni 100 chili di olio di palma si ottengono 15 chili di olio di palmisto e 15 chili di panello di palmisto. La maggior parte dell’olio di palma e di palmisto trova impiego per usi alimentari, nell’industria dei detersivi ecc, ma la sua richiesta e produzione stanno rapidamente aumentando per la fabbricazione del biodiesel, un surrogato dei carburanti per motori diesel, meno inquinanti di quelli derivati dal petrolio e ottenuto da materie rinnovabili. Il principale produttore mondiale di olio di palma è l’Indonesia (25 milioni di t/anno), seguita dalla Malesia con 20 milioni di t/anno). L’olio di palma è oggetto di un vivace commercio internazionale.

Un aumento della produzione di biodiesel consente una minore emissione di anidride carbonica per ogni chilometro percorso da un automezzo, l’aumento della produzione di olio di palma in Paesi emergenti, nuove attività nell’industria chimica. Però la crescente richiesta di olio di palma ha indotto gli abitanti dei due principali Paesi produttori ad estendere le coltivazioni in terreni fino allora occupati dalle foreste tropicali che da anni vengono selvaggiamente tagliate o bruciate per lasciare spazio alle nuove colture.

La distruzione delle foreste tropicali non solo contribuisce al peggioramento del clima, ma comporta anche una perdita di biodiversità, essenziale per la stabilità degli equilibri ecologici e per l’alimentazione delle popolazioni locali. Inoltre le foreste tropicali crescono in terreni ecologicamente e geologicamente poveri e instabili; distrutte le foreste, ben presto le piogge tropicali provocano rapidi fenomeni di erosione rendendo poco produttivi i terreni che erano stati liberati nella speranza di grandi guadagni. Nelle scelte ecologiche future bisogna quindi vigilare, attraverso una ricerca scientifica lungimirante, per non uscire da una trappola tecnologica e cadere in un’altra: davvero, ci piaccia o no, in natura, ogni cosa è legata a tutte le altre.



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