Crescita e occupazione nel settore del riciclo dei rifiuti urbani

Pubblicato il 24 luglio 2014

L’obiettivo dello studio promosso dal Ministro dell’Ambiente e realizzato da Conai in collaborazione con Althesys è analizzare le relazioni tra le politiche di gestione dei rifiuti urbani, in particolar modo quelle di riciclo, e lo sviluppo economico e occupazionale nell’Unione europea.

Il raggiungimento degli obiettivi europei rivolti alla creazione della “società del riciclo” può, infatti, avere rilevanti effetti sulla crescita economica e industriale ed essere un fattore di creazione di occupazione.

L’analisi traccia il quadro attuale della gestione dei rifiuti urbani nell’Unione europea, cercando poi di individuare le azioni e gli strumenti per cogliere gli obiettivi europei, facendo convergere i risultati dei vari Paesi. Il lavoro valuta, infine, i possibili impatti di queste politiche in termini di crescita economica e occupazionale.

La situazione dei Paesi dell’UE nella gestione dei rifiuti urbani è molto eterogenea: da un lato ci sono Stati che hanno praticamente eliminato il ricorso alla discarica e che hanno già raggiunto gli obiettivi previsti per il 2020, mentre dall’altro esistono realtà in cui la discarica è ancora la modalità prevalente, se non l’unica, e dove il riciclo è una nicchia poco sviluppata dell’industria del waste management.

Lo smaltimento in discarica resta ancora, in molti Stati, il sistema prevalente, con un valore medio europeo del 34,25% e picchi superiori all’80%. C’è tuttavia un gruppo di Paesi che è riuscito ad eliminare quasi totalmente il ricorso alla discarica, con un’incidenza sul mix inferiore al 5%. Questo gruppo si contraddistingue però per un maggior ricorso all’incenerimento (con e senza recupero energetico), che pesa tra il 35% della Germania e il 52% di Svezia e Danimarca.

Ciò che emerge è la profonda eterogeneità di mezzi e risultati ottenuti nei diversi Stati. L’analisi restituisce l’immagine di un’Europa a tre diverse velocità, dove coesistono Paesi con ottime performance ambientali caratterizzati, da mix di gestione dei rifiuti che vanno nella direzione degli obiettivi comunitari, e Paesi meno avanzati, dipendenti per lo più dalle discariche e dove l’industria del riciclo è poco sviluppata o addirittura quasi inesistente. Allo stato attuale per questi Paesi il raggiungimento degli obiettivi parrebbe piuttosto irrealistico. Nel mezzo, infine, c’è una serie di Paesi che pur non essendo ancora ai livelli dei migliori e nonostante la permanenza di criticità, attraverso interventi mirati, potrebbe raggiungere i target europei. Alla situazione italiana, in particolare, è dedicato un approfondimento. L’Italia risulta, infatti, paradigmatica della situazione europea, con la coesistenza di eccellenze – il riciclo degli imballaggi – e criticità, con una forte disomogeneità dei risultati a livello territoriale.

Alla luce del quadro attuale e degli obiettivi europei sono ipotizzati due possibili scenari al 2020. Il primo, definito scenario teorico, ipotizza che tutti i Paesi europei raggiungano gli obiettivi per il 2020: almeno il 50% di riciclo dei rifiuti urbani e l’azzeramento del ricorso alla discarica. Il secondo, scenario prudente, tiene conto delle differenti situazioni di partenza e valuta in modo più realistico il fabbisogno di infrastrutture per le varie opzioni di trattamento. Un obiettivo unico di riciclo per tutti i Paesi pare, infatti, inadeguato tenuto conto anche delle loro differenti strutture industriali. Inoltre, diversa è la composizione dei rifiuti urbani: per esempio, la quantità di organico è molto più alta nei Paesi del Sud. Le condizioni climatiche del Nord Europa consentono il recupero di calore dalla combustione dei rifiuti in misura assai superiore a quella del Sud. Se alcune nazioni nord-europee dovessero raggiungere gli obiettivi di riciclo riducendo la termovalorizzazione non sarebbero in grado di alimentare gli impianti di teleriscaldamento con conseguenze economiche, energetiche ed ambientali gravi. Obiettivi uniformi, che non tengano conto di tali peculiarità, oltre ad essere difficilmente raggiungibili, rischiano dunque di avere effetti collaterali negativi.

Nello scenario teorico l’aumento delle quantità avviate a riciclo nell’UE al 2020 sarebbe di 44,8 milioni di tonnellate, mentre la maggior quantità di rifiuti avviati a compostaggio sarebbe di 22,5 milioni. Il ricorso alla discarica si ridurrebbe di 71 milioni di tonnellate e le quantità di rifiuti termovalorizzati crescerebbero quindi di 37,5 milioni.

Nello scenario prudente, l’aumento del riciclo e del trattamento del materiale organico sarebbe rispettivamente di 21,2 e 10,8 milioni di tonnellate, mentre il ricorso alla discarica si ridurrebbe di 25 milioni. Il fabbisogno di nuova capacità di termovalorizzazione sarebbe di 22,3 milioni di tonnellate.

Lo studio individua alcuni strumenti per avviare il processo di convergenza e raggiungere gli obiettivi. L’industrializzazione della filiera del riciclo e recuperi di efficienza nelle fasi di raccolta e selezione sono condizioni necessarie affinché i Paesi meno avanzati possano raggiungere i più virtuosi. Diverse sono le possibili aree di intervento: strutturare sistemi di finanziamento del servizio basati sul principio del pay as you throw in modo da favorire la riduzione dei rifiuti indifferenziati a favore del riciclo; favorire il consolidamento del settore e la crescita delle dimensioni degli operatori attraverso processi di aggregazione ed integrazione; definire ruoli, responsabilità e obiettivi chiari lungo tutta la filiera (responsabilità di filiera), per individuare per ogni criticità le cause e le possibili aree di intervento.

Per far crescere il riciclo, saranno necessari investimenti in ricerca e sviluppo, in particolar modo per quei prodotti per i quali, ad oggi, sussistono le maggiori difficoltà.

Tale ricerca, anche per evitare rischi di down-cycling, richiede ampie risorse e una cooperazione tra imprese, centri di ricerca e università.

Per tutti i materiali l’innovazione riguarda le fasi di raccolta e selezione, oltre che l’innovazione di processo. Per alcune plastiche, invece, anche l’innovazione di prodotto. Le principali aree in cui potrebbe concentrarsi la ricerca sono la compatibilità delle plastiche miste, il riciclo chimico dei polimeri e il trattamento dei poliaccoppiati.

Un’altra azione per far crescere l’industria del riciclo è agire sul lato della domanda attraverso il Gpp, Green Public Procurement, che permette di sfruttare la leva degli acquisti pubblici per incentivare lo sviluppo di prodotti, tecnologie e servizi a basso impatto ambientale. La leva della domanda pubblica per promuovere lo sviluppo di prodotti verdi può portare alla nascita di un tessuto di aziende impegnate in produzioni eco-innovative, con vantaggi, oltre che ambientali, anche di crescita e occupazione.

Lo sviluppo del Gpp è, tuttavia, piuttosto disomogeneo tra i diversi Paesi europei, sia sotto il profilo delle politiche e delle normative, sia dell’effettiva incidenza sull’insieme degli acquisti pubblici. Condividere esperienze e creare gruppi di acquisto tra le varie amministrazioni ridurrebbero i rischi dell’acquisto di beni e tecnologie eco-innovativi, favorendone una loro più rapida crescita e diffusione sul mercato.

Cogliere gli obiettivi UE di gestione dei rifiuti potrà portare consistenti ricadute in termini economici e di occupazione. Nello scenario teorico, le ricadute economiche addizionali (volume d’affari diretto e indotto) generate nell’UE dal raggiungimento degli obiettivi sono stimate in oltre 136 miliardi di euro nel periodo dal 2013 al 2020. Questa stima comprende le attività di raccolta, selezione, compostaggio e riciclo intermedio per circa 100 miliardi di euro, mentre i restanti 36 miliardi sono dovuti agli investimenti in impianti di trattamento, riciclo e smaltimento. Il valore aggiunto complessivo è di 43 miliardi di euro, di cui quasi 12 relativi ad investimenti.

L’occupazione aggiuntiva creata nello stesso periodo dal raggiungimento degli obiettivi è stimata in 874.000 addetti, di cui 609.000 derivano dalle attività di raccolta, trasporto, selezione e riciclo, al netto dell’occupazione persa nelle altre modalità di gestione, come ad esempio la discarica. I restanti 265.000 circa sono ascrivibili alla costruzione dei nuovi impianti di selezione, compostaggio, riciclo intermedio e termovalorizzazione.

Questo scenario, tuttavia, pone obiettivi “teorici”, che assumono il pieno raggiungimento dei target europei anche nei Paesi meno avanzati. È irrealistico, però, che questi ultimi possano, nel giro di pochi anni, raggiungere livelli paragonabili ai Paesi più virtuosi. Lo scopo di questo scenario, pertanto, è semplicemente quello di valutare il potenziale massimo teorico di sviluppo del settore del waste management e del riciclo.

Nello scenario prudente, dove gli obiettivi sono stati calibrati tenendo in considerazione le situazioni di partenza dei diversi Paesi, il giro d’affari aggiuntivo in Europa attribuibile al raggiungimento dei target è pari a 78 miliardi di euro dal 2013 al 2020. Questo valore include investimenti in impianti di trattamento, riciclo intermedio e smaltimento per 21 miliardi e 57 miliardi derivanti dalle diverse attività lungo la filiera. Il valore aggiunto generato è nel complesso di 24 miliardi di euro, di cui 7 per gli investimenti.

L’occupazione addizionale ottenuta grazie al raggiungimento degli obiettivi al 2020 è valutata in 432.000 unità, di cui 307.000 circa stabilmente occupati nelle attività di gestione dei rifiuti e 125.000 per la costruzione di impianti.

Le aree maggiormente interessate sono quelle della raccolta differenziata, le cui ricadute economiche (giro d’affari e ricadute indirette) pesano nei due scenari rispettivamente per il 36% e il 34% del totale. Segue il riciclo intermedio, con un peso del 34% nello scenario teorico e del 33% in quello prudente. Rilevante è anche l’apporto delle attività di selezione dei materiali, con il 20% di ricadute in entrambi gli scenari. Più contenuto è il volume d’affari aggiuntivo derivante dalla gestione operativa dei termovalorizzatori, a causa, soprattutto della natura capital intensive di tale tecnologia. Le attività di selezione e riciclo intermedio (cioè esclusa la fabbricazione dei prodotti finiti) sono quelle che creano il maggior valore aggiunto, rispettivamente 45 e 44% nei due scenari.

 

Conai: http://www.conai.org

Althesys: http://www.althesys.com



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