Amianto, l’analisi di TÜV Italia per limitare i rischi per le persone

Pubblicato il 9 luglio 2019

Fino al 1992, anno in cui in Italia l’amianto è stato proibito, questo materiale è stato normalmente e diffusamente utilizzato nel nostro paese sia nell’industria che in edilizia. Si stima, infatti, che in Italia tra il 1984 e il 1988, di amianto, isolato o misto al cemento, ne siano stati utilizzati 3 milioni di tonnellate e che oggi siano ancora presenti 2,5 miliardi di mq. di coperture in cemento-amianto, pari a circa 32 milioni di tonnellate, in gran parte friabili e, se consideriamo i rifiuti esistenti, quelli da amianto sono secondi per volume solo a quelli urbani e primi in quantità considerando i rifiuti tossici. La ragione dell’utilizzo massiccio è legato alle caratteristiche dell’amianto: elevata resistenza agli agenti chimici, agli sforzi di trazione, forte potere isolante termico, elettrico, acustico e di coibenza.

Dopo che indagini epidemiologiche ne hanno accertato l’estrema pericolosità per la salute, e che dell’amianto, per legge, siano state proibite l’estrazione, l’importazione, la produzione e la commercializzazione, visti i numeri, il rischio da esposizione, sia in ambito industriale che in quello delle costruzioni persiste. Occorre sottolineare come la presenza negli edifici o in impianti industriali di materiali contenenti amianto non rappresenti di per sé un pericolo, lo diventa quando esiste il rischio di rilascio delle sue fibre nell’ambiente e della possibile inalazione delle stesse, un rischio che aumenta con l’aumentare della friabilità delle strutture che contengono amianto come pannelli, travi e tubazioni, o in caso di danneggiamento o demolizioni di tramezze, coperture, lastre etc, che possono liberare nell’atmosfera queste fibre pericolose.

Nel processo di verifica le ispezioni ambientali sono il primo passo, e per comprendere come si svolgono e le basi su cui si poggia l’analisi dei rischi abbiamo posto alcune domande a Massimo Pugliese, Civil Engineering Line Manager TÜV Italia, Divisione IS & RI, che ha alle spalle una lunga esperienza in queste attività, che spiega: “Il nostro lavoro, prevede inizialmente l’analisi delle informazioni disponibili dal responsabile del sito – e l’anno di realizzazione dell’opera è un selettivo parametro di valutazione – oltre ovviamente alla documentazione di progetto, che sarà seguita da una dettagliata ispezione in campo focalizzata su quelle parti di opere in cui è più probabile riscontrare materiali contenenti amianto friabile, quali coperture, coibentazioni termiche o ignifughe, pannellature, ecc.”

Avere chiara la situazione relativamente alla presenza e allo stato di conservazione dell’amianto in edifici, aree o siti produttivi, rappresenta una sicurezza tanto per la collettività che per i proprietari dei beni, così da pianificare gli interventi nel caso se ne dimostrasse la necessità.

”Essi vengono richiesti da committenti sensibili alle condizioni dell’ambiente di lavoro dei propri dipendenti, in particolare quando il proprio sito è stato realizzato negli anni ‘60-‘70-‘80, dove l’amianto spopolava ed era ritenuto un materiale “miracoloso” per le sue prestazioni di coibentazione, oltre ad essere anche ignifugo”, aggiunge l’Ing. Pugliese.“ Nel caso di individuazione di materiali contenenti amianto friabile, dovrà essere coinvolta un’idonea azienda abilitata per il successivo intervento che può anche rientrare fra quelli con agevolazioni e detrazioni fiscali”

L’edilizia è certamente il settore dove questo materiale è stato utilizzato in maniera preminente ma, sfortunatamente, è possibile trovarlo anche nei prodotti di consumo. Questo è un aspetto meno conosciuto nella battaglia che TÜV Italia porta avanti nei confronti dell’amianto, ma purtroppo è così.

“Per quanto sembri impossibile, talvolta si riscontra la presenza di amianto anche in prodotti di consumo importati da paesi Extra UE”, afferma Michela Gallo, a capo della Service Line Food Contact e del laboratorio amianto dei laboratori pH. “Nella rendicontazione delle attività di controllo effettuate a livello nazionale per la verifica del rispetto del Regolamento Reach, il Regolamento 1907/2006 della UE sulle sostanze chimiche entrato in vigore nel 2007 per garantire un elevato livello di protezione della salute umana, è infatti possibile verificare come, ad esempio, nel 2017 sono stati rinvenuti in Italia cinque diversi prodotti di consumo contenenti amianto. Fortunatamente, per cercare di ridurre quanto più possibile una potenziale esposizione, la verifica di tale parametro è stata inserita anche nel piano nazionale delle attività di controllo per i manufatti normati dal Regolamento Reach che possono contenere tale pericoloso materiale”

Nel monitoraggio e nel controllo dei rischi di esposizione all’amianto, le prove in laboratorio sono un passaggio essenziale per riuscire a quantizzarli. “I test prevedono l’uso delle più moderne tecnologie, come la Microscopia Elettronica a Scansione o la Diffrattometria a Raggi X, che permettono sia di stabilire quali sono le esatte fibre minerali riconducibili ad amianto che la loro quantificazione”, aggiunge Michela Gallo.

L’ultima parte nel processo di smaltimento dell’amianto prevede la bonifica. L’utilizzo del fibrocemento nasce all’inizio del 1900 e già intorno agli anni 30 dello scorso secolo si era iniziato a parlare della sua pericolosità per l’uomo, mentre risalgono agli anni 50 le prime ricerche che lo indicavano come cancerogeno. Solo al 1992 risale la legge 257, la prima nel nostro Paese che ne ha limitato l’uso, oltre a definirne le norme di sicurezza e la bonifica. Successivamente sono stati emanati altri decreti e circolari applicative, ma solo con il DM del 06.09.1994 e con il decreto 20/1999 vengono definite normativa e metodiche per la bonifica e lo smaltimento.  Simona Pizzuti, Direttore Tecnico di Saccir, dal 1999 abilitata al coordinamento dei lavori di bonifica per l’amianto ed oggi con responsabilità delle attività di mappatura e bonifica dell’amianto e del trasporto di rifiuti speciali, pericolosi e non, dichiara: “I lavori di demolizione e di rimozione dell’amianto sono trattati dall’art. 256.del D.LGS. 9 aprile 2008 n. 81. Viene stabilito innanzitutto che tali interventi possono essere effettuati solo da soggetti iscritti all’albo delle imprese che effettuano la bonifica di beni contenenti amianto. Il datore di lavoro deve predisporre preventivamente un piano di lavoro, che deve essere inviato all’organo di vigilanza 30 giorni prima dell’inizio dei lavori. L’organo di vigilanza può richiedere integrazioni o modifiche e può rilasciare prescrizioni operative. Circa i metodi di bonifica che possono essere applicati ai materiali contenenti amianto, sono sostanzialmente tre le tipologie di intervento: la rimozione; l’incapsulamento ed il confinamento.

La scelta del metodo di bonifica più opportuno nei casi concreti è complessa e deve tener conto di fattori di tipo tecnico, organizzativo ed economico. Inoltre, quanto più è friabile la matrice del materiale contenente amianto oggetto di bonifica, tanto più risulta necessario adottare cautele specifiche per salvaguardare la salute dei lavoratori coinvolti nella bonifica e l’ambiente esterno”.

Con l’intento di sensibilizzare verso un problema che ci coinvolge tutti, l’amianto, e le attività da mettere in campo per evitarne i rischi, sono state l’argomento di un workshop dal titolo “Amianto: indagini ambientali, tecniche di bonifica, test di laboratorio” che TÜV Italia ha promosso con esperti interni ed il contributo di professionisti esterni, dove sono stati esposti i passaggi cruciali che aziende e privati proprietari di aree, immobili o siti produttivi devono affrontare per verificarne la presenza e l’eventuale necessità di bonifica. Considerando che una localizzazione promossa da un famoso magazine nazionale ha prodotto una mappa dei rischi dove si evidenziano nel nostro paese la presenza di 57 aree critiche non ancora bonificate che coinvolgono 6 milioni di cittadini, per liberarci dall’amianto occorre ancora impegno, volontà ed investimenti.



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