Fiume Lambro: ci mancava il petrolio

Pubblicato il 28 febbraio 2010

Il Lambro rappresenta da decenni una delle principali sorgenti di inquinamento antropico lungo il corso del Po. Gli studi condotti dall’Irsa-Cnr (Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche - Brugherio) fin dalla metà degli anni Settanta hanno contribuito prima ad identificare e poi a quantificare il fenomeno, fissando per il Lambro in circa il 30% il contributo al carico totale di inquinanti che viene veicolato dal grande fiume padano nel Mare Adriatico.

La pressione urbana, industriale e agricola di uno dei territori più sviluppati dell’Europa sono la causa dello stato di degrado elevato delle acque, che nei recenti due decenni ha visto crescere l’attenzione degli Enti gestori anche a seguito dell’adeguamento normativo alla Direttiva Quadro sulle Acque, adeguamento a cui l’Irsa ha fornito un contribuito rilevante per lo sviluppo delle metodologie per la classificazione della qualità ecologica.

Nel tratto a monte della città di Milano, a partire dalla metà degli anni Ottanta, prima il depuratore di San Rocco, della attuale Alsi (Alto Lambro Servizi Idrici), poi il depuratore di Merone, dell’Asil (Azienda Servizi Integrati Lambro), hanno contribuito a determinare un recupero significativo delle acque del Lambro, con presenza di fauna ittica, miglioramento della biodiversità della fauna bentonica e a un aspetto visivo più accettabile delle acque.

Un analogo sforzo gestionale è stato realizzato in quest’ultimo decennio anche a valle di Milano, con la costruzione/ampliamento degli impianti di depurazione di Nosedo, Milano San Rocco e di Peschiera Borromeo, raggiungendo nel 2005 l’obiettivo di trattare la totalità delle acque reflue della metropoli lombarda.

La situazione alle soglie del secondo decennio di questo secolo dava segnali di speranze positive rispetto alla situazione di massimo degrado delle acque raggiunto nel passato, nonostante le difficoltà a raggiungere ancora livelli qualitativi accettabili. In questo contesto si viene ora a inquadrare il problema dello sversamento nel Lambro di una notevole quantità di petrolio e di oli combustibili verificatosi lo scorso 23 febbraio.

Nonostante l’impatto sull’ecosistema fluviale sia stato in parte attenuato dall’aver “sacrificato” l’impianto di depurazione dell’Alsi, in cui è stata trattenuta una parte rilevante dei prodotti petroliferi pervenuti attraverso il collettore consortile, la grande quantità di idrocarburi in gioco determinerà un significativo impatto per un certo tempo sulla fauna fluviale. Una situazione solo in parte alleviata dalle portate del fiume in queste settimane, dovute al lungo periodo piovoso che caratterizza questo inverno. In un corso d’acqua, infatti, portate elevate determinano la mobilizzazione degli oli pesanti eventualmente depositatisi sul fondo, mentre quelli più leggeri sono maggiormente dispersi incrementando i problemi alle biocenosi acquatiche sensibili alla tossicità degli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), degli idrocarburi alifatici e degli altri inquinanti più o meno solubili largamente presenti nei prodotti petroliferi riversati nel Lambro. La situazione idrologica attuale del Po può quindi favorire l’attenuazione del fenomeno acuto, ma non necessariamente attenua il problema dell’impatto a lungo termine sull’ecosistema. L’accumulo di idrocarburi nei sedimenti, infatti, potrà rappresentare una sorgente di esposizione a sostanze tossiche per un periodo molto lungo.

Analizzando il problema dell’impatto nel contesto del bacino idrografico padano, le preoccupazioni devono però distinguersi in effetti ecologici sul Po ed effetti sanitari per l’uso potabile delle acque nella parte terminale del suo percorso. Se è difficile, in questo momento in cui l’emergenza è ancora in atto, identificare tutte le differenti e possibili conseguenze ambientali, perché ciò richiederebbe una definizione della reale distribuzione dell’onda di idrocarburi lungo il corso del Po, che non è ancora disponibile, vi è comunque un aspetto che richiede attenzione perché sarà un impatto inevitabile per il Mare Adriatico, l’ecosistema recettore finale. L’interruzione per alcune settimane della operatività dell’impianto Alsi di San Rocco determinerà, infatti, lo sversamento non depurato dei reflui urbani di circa settecentomila abitanti, con la formazione di un carico in eccesso di nutrienti che giungeranno alla foce del Fiume Po in un momento, l’inizio della primavera, durante il quale si hanno le prime fioriture algali, generalmente diatomee, che danno inizio ai naturali cicli stagionali. Esiste quindi una certa possibilità che si possano verificare situazioni di fioriture al di fuori della norma, con conseguenze anche sull’ecosistema marino prospiciente la foce del Po.

Come si vede, le conseguenze di un atto criminale come quello avvenuto a Villasanta, nella provincia di Monza e Brianza, cioè in posizione centro occidentale del bacino idrografico del Po, avrà conseguenze complessive su tutto l’ecosistema sulla cui portata c’è ancora molto da capire. Si possono invece fin da ora considerare le conseguenze a livello sociale, poiché rovesciare intenzionalmente quella quantità di petrolio nel fiume Lambro è più di un reato, è una tragedia culturale ben difficilmente sanabile.

Irsa-Cnr: www.irsa.cnr.it



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