ELEMENTI – Plutonio, viale degli Attinidi, 94

Pubblicato il 8 maggio 2011

A me il plutonio è antipatico, ma siccome c’è anche lui al 94 del viale degli Attinidi, bisogna pure che ne parli. L’appartamento del plutonio è abbastanza affollato di vari isotopi, di peso atomico medio 239. Il plutonio fu isolato per la prima volta nel 1940 da Glenn Seaborg (1912-1999) che l’ottenne bombardando l’uranio in un ciclotrone con neutroni. In realtà dall’uranio si formano vari isotopi del plutonio fra cui quelli con peso 238, 239, 240, per complicate reazioni. I vari isotopi dell’uranio hanno nel nucleo 92 protoni (per questo occupano il n. 92 del viale degli Attinidi) e un certo numero di neutroni: 143 l’isotopo 235, 146 l’isotopo 238.

Quando l’uranio-238 è colpito da neutroni di tipo speciale (li chiamano “veloci”) il nucleo dell’uranio ne assorbe qualcuno e viene poi sconquassato da agitazioni interne. Dapprima assorbe un neutrone e si trasforma in nettunio-239, un parente che sta nella casa accanto, al n. 93 dello stesso viale, e che è instabile perché assorbe un altro neutrone e, con perdita di radiazioni, si trasforma in plutonio-239; qualche volta si forma anche plutonio-240 o anche plutonio-238.

Sta di fatto che queste scoperte, fatte nei pochi anni del periodo in cui sono state fabbricate le prime bombe atomiche, hanno mostrato che il plutonio-239 era anche lui fissile e si prestava, come l’uranio-235, a liberare, in seguito all’urto con neutroni, energia, in forma esplosiva o anche in forma controllata. In vari laboratori segreti dal 1941 al 1945 sono stati fabbricati alcuni chili di uranio-235 e di plutonio; la prima bomba atomica sperimentale, fatta esplodere ad Alamagordo, nel Nuovo Messico, il 16 luglio 1945, usava plutonio come “esplosivo”, così anche la terza, quella del bombardamento di Nagasaki il 9 agosto 1945. La bomba di Hiroshima, del 6 agosto 1945, usò invece uranio-235.

Nel frattempo sono state scoperte altre proprietà del plutonio: che è estremamente tossico, per cui anche minutissime polveri di questo metallo (dimenticavo di dire che è un metallo) se si fissano all’interno di qualsiasi essere vivente continuano a liberare radioattività e provocano tumori. Poi si è scoperto che il plutonio continua ad emettere radioattività (e calore) per tempi lunghissimi: perde metà della sua radioattività dopo 24.000 anni; dopo 50.000 anni emette ancora ancora il 25 % della sua radioattività iniziale e così via, in lentissimo decadimento.

Gli isotopi con numero atomico pari, come 238 e 240, non sono fissili. L’isotopo 238 emette calore ed è stato usato come fonte di energia in alcuni satelliti artificiali. Dopo il 1945 il plutonio-239 è stato prodotto in grandissime quantità per le bombe atomiche, specialmente negli Stati Uniti e nell’Unione Sovietica; quando è cominciata la distensione, i due paesi hanno inizato a smantellare le vecchie bombe atomiche e si sono trovati fra le mani grandi quantità del pericoloso plutonio. Una parte di questo plutonio-239 è stato usato in miscela con l’uranio nelle centrali nucleari sotto forma di ossidi misti MOX, una soluzione sgradevolissima perché, se si verifica un incidente in una centrale, il plutonio radioattivo finisce nell’ambiente e contamina gli esseri viventi che lo assorbono.

Comunque il plutonio si forma continuamente anche nelle “normali” centrali nucleari a uranio arricchito: in una centrale da 1.000 MW si formano ogni anno circa 300 chili di plutonio che può essere separato chimicamente dagli altri prodotti di fissione o finisce nel “combustibile irraggiato” (ogni anno se ne estraggono trenta tonnellate da una centrale da 1.000 MW) che costituisce una delle forme dei residui radioattivi, chiamati anche “scorie”. Comunque per la sua elevata radioattività e il lunghissimo periodo in cui continua ad emettere radioattività, il plutonio deve essere sepolto in qualche posto – ma nessuno sa ancora dove – in modo tale che non finisca assolutamente nell’ambiente per duecentomila anni. Anche per questo, oltre che per il ricordo del suo uso militare, non lo posso soffrire.

di Giorgio Nebbia



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