Reti di distribuzione dell’idrogeno: perché investire in automazione industriale
All’interno dell’attuale Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR), lo stanziamento più elevato (oltre 23 miliardi di euro) è destinato alla transizione energetica e la mobilità sostenibile. Un indice, tra i molti, che dimostra la grande attenzione oggi (finalmente) riservata al tema energia. Del resto, non è un caso se, nel 2021, è stato istituito per la prima volta nella storia del nostro Paese il Ministero della Transizione Ecologica (MiTE), in sostituzione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
La strategia di decarbonizzazione prevista dal PNRR si basa, come noto, su un utilizzo progressivamente crescente di fonti energetiche rinnovabili per la produzione di energia elettrica. Altrettanto noto è uno dei principali nodi da sciogliere per poter realisticamente perseguire questa strategia: la discontinuità di fonti rinnovabili come il solare e l’eolico, che si scontra con l’esigenza di garantire continuità di erogazione di energia a cittadini e attività produttive.
L’idrogeno come fonte alternativa di energia
Far fronte in ogni momento all’intero fabbisogno energetico nazionale con soli impianti da fonti rinnovabili richiederebbe una potenza installata molto superiore a quella di picco richiesta (il che porterebbe, per inciso, ad avere impianti fortemente sottoutilizzati per la maggioranza del tempo).
Un’alternativa più realistica è ricorrere all’accumulo, accantonando energia durante i periodi di produzione da utilizzare quando sole e vento non sono disponibili. Purtroppo, l’energia elettrica è, di per sé, difficilmente accumulabile. Le attuali batterie hanno infatti una densità energetica modesta, che si traduce in capacità di accumulo limitata e in ingombri, pesi (e costi!) molto elevati per unità di energia accumulata. La costruzione delle batterie attuali prevede inoltre l’utilizzo di materiali rari, la cui disponibilità futura è incerta, e pone importanti problemi connessi al riciclaggio, la cui tecnologia si può oggi ritenere tutt’altro che matura.
In questo scenario, molti guardano con interesse all’idrogeno, da utilizzare tanto come vettore energetico quanto come soluzione di accumulo. L’idrogeno può infatti essere prodotto per elettrolisi partendo dall’acqua, impiegando energia elettrica prodotta tramite fonti rinnovabili (il cosiddetto idrogeno verde).
Una volta prodotto, l’idrogeno può essere immagazzinato per lunghi periodi di tempo beneficiando della sua elevata densità energetica, che sfiora i 40 kWh/kg. A titolo di confronto, per accumulare la stessa quantità di energia contenuta in un chilogrammo di idrogeno, servirebbe, con la tecnologia attuale, una batteria di circa 250 kg.
All’occorrenza, l’idrogeno può infine essere convertito nuovamente in energia elettrica entro una cella a combustibile, o bruciato per produrre calore; in questo secondo caso, l’utilizzo sarebbe analogo a quello dei combustibili tradizionali, ma col vantaggio di produrre, con la combustione, unicamente vapore acqueo.
La rete di distribuzione è l’ostacolo principale
Ovviamente, per un utilizzo dell’idrogeno su larga scala è necessario risolvere ancora diverse criticità, le principali delle quali sono probabilmente legate alla rete di distribuzione. Sotto questo aspetto, nonostante esistano anche iniziative volte a esplorare la possibilità di costruire una rete di distribuzione indipendente (i Paesi bassi hanno recentemente stanziato allo scopo 1,5 miliardi di euro), l’orientamento prevalente è utilizzare i gasdotti già esistenti per trasportare una miscela di idrogeno e gas naturale.
Le valutazioni tecniche, in questo senso, sono estremamente promettenti. Trasportare idrogeno pone infatti due problematiche principali: il contenimento, date le ridotte dimensioni della molecola H2, e l’interazione idrogeno acciaio, che può (in funzione della tipologia di acciaio) alterare le proprietà meccaniche di quest’ultimo, in particolare duttilità e tenacità. L’ASME (American Society of Mechanical Engineers) ha già però pubblicato una norma che chiarisce come trasportare miscele metano-idrogeno fino al 10% sia possibile in presenza di tubature di grado inferiore ad API 5L X80 (tensione di snervamento minima 555 MPa), come sono di fatto la maggioranza delle tubature esistenti. Non solo! In presenza di questa tipologia di tubature, sarà possibile arrivare fino al 100% di idrogeno a patto che lo stato di tensione massimo atteso nel materiale sia inferiore alla metà della tensione di snervamento. In pratica, sarà possibile utilizzare gran parte dei gasdotti esistenti per il trasporto anche di idrogeno puro, regolando opportunamente la pressione.
Già nell’aprile del 2019, Snam ha in effetti sperimentato il trasporto di una miscela di gas naturale e idrogeno al 5% a Contursi Terme (SA), rifornendo per circa un mese due industrie locali. L’esperimento è stato poi replicato con successo nel dicembre dello stesso anno, portando la percentuale di idrogeno al 10%. Segnali incoraggianti, che fanno apparire l’ambiziosa roadmap definita dalla Commissione Europea (applicazione su larga scala a dal 2030, con la costruzione di 40 GW di elettrolizzatori nel quinquennio 2025-2030) un poco più realistici.
La risposta nelle soluzioni specializzate di automazione industriale
L’industria specializzata, dal canto suo, è già impegnata nello sviluppo di soluzioni economicamente accessibili per la riqualificazione dei gasdotti esistenti.
Un esempio è dato dalla famiglia di prodotti FLOWSIC600-XT di SICK, un misuratore di flusso di gas a ultrasuoni di nuova generazione, H2 READY, disponibile nelle varianti con 4, 4+1, 4+4 e 8 percorsi. Rispetto alla generazione precedente, FLOWSIC600-XT garantisce un più agevole e preciso bilanciamento della rete, grazie a minori incertezze di misura anche alle portate minime, e a una serie di funzioni che rispondono puntualmente agli orientamenti ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), così come esposti nel documento 250/2021/R/GAS ai fini dell’avvio dei progetti pilota per gestione ottimizzata e nuovi utilizzi delle infrastrutture di trasporto.
In particolare, la famiglia di prodotti FLOWSIC600-XT favorisce le attività connesse al Power-to-Gas (P2G), cioè la conversione di energia elettrica in un vettore energetico gassoso, la digitalizzazione delle reti e l’autodiagnosi intelligente, e con la soluzione firmware e software i-diagnostic, permette di gestire gli impianti da remoto, ricevere informazioni preventive sullo stato di funzionamento del misuratore e intervenire solo sullo specifico dispositivo che necessita di un’ispezione approfondita. FLOWSIC600-XT, inoltre, è capace di effettuare misurazioni in totale autonomia anche in assenza di alimentazione, fino a tre settimane.
di Ivonne Carpinelli
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