ELEMENTI – Torio, viale degli Attinidi, 90

Così chiamato da Berzelius in onore del dio Thor, il torio non ha avuto grandi applicazioni fino a oggi

Pubblicato il 27 luglio 2011

Quando il mineralogista norvegese Jens Esmark trovò una roccia contenente un minerale che non riusciva ad identificare non trovò di meglio da fare che mandarlo al grande chimico svedese Jacob Berzelius (1779-1848) che aveva già scoperto nuovi elementi come il silicio, il selenio, il cerio. Berzelius si mise al lavoro e, nel 1828, riconobbe nel minerale la presenza di un nuovo elemento metallico che chiamò torio, in onore del dio Thor, una divinità scandinava.

Il torio non ebbe grandi applicazioni per molto tempo fino al 1892 quando l’inventore austriaco Carl Auer (1858-1929) scoprì che, ponendo delle reticelle di fili di torio intorno ad una fiamma, questa reticella forniva una intensa luce bianca, migliorando l’illuminazione fornita dalle lampade a gas. Ma anche questa ondata di interesse ebbe breve vita; poco dopo venivano introdotte in commercio le lampade elettriche ad incandescenza con filamento di tungsteno che fornivano una luce intensa senza fiamma.

Il torio fa parte di una famiglia di elementi, chiamati ”attinidi” ad alto peso atomico, gli ultimi della tabella di Mendeleev, che si trovano subito dopo il radio (peso atomico 226). Il primo elemento della serie è appunto l’attinio e il successivo, nella casella numero 90, è proprio il torio, peso atomico 232, dotato di un nucleo contenente 90 protoni e 142 neutroni.

La scoperta della fissione nucleare, cioè della possibilità di ottenere energia dalla “frantumazione” di un nucleo atomico in nuclei più piccoli; la maggior parte delle ricerche furono rivolte alla fissione dei nuclei di uranio-235 e alla produzione di energia, anche a fini militari, dal ciclo uranio-plutonio. Tuttavia nel corso di tali ricerche apparve anche che, in seguito all’urto dei neutroni sui nuclei del torio, non si aveva fissione e liberazione di energia, come nel caso dell’uranio e del plutonio, ma si aveva la formazione di un isotopo dell’uranio, l’uranio-233, che era fissile e poteva essere utilizzato come fonte di energia.

Un gruppo diretto dal fisico americano Alvin Weinberg (1915-2006) studiò dei reattori nucleari funzionanti con il ciclo torio-uranio che però non hanno avuto seguito. Di recente è rinato un interesse per i reattori a torio che alcuni fabbricanti propongono come fonti di “energia nucleare verde”. Per quanto se ne sa, il torio in natura sarebbe più abbondante dell’uranio; il suo principale minerale, la monazite, è il sottoprodotto della lavorazione di sabbie contenenti minerali di titanio e zirconio e si trova in Australia, India, Stati Uniti, Canada, Norvegia, Groenlandia, Brasile, Sud Africa. Dalla monazite si estraggono già le “terre rare”, importanti metalli industriali, e il torio sarebbe quindi il sottoprodotto di attività già in corso.

I reattori nucleari a torio sono abbastanza simili a quelli attuali; una carica di torio, addizionata con piccole quantità di uranio fissile, è sottoposta a “bombardamento” con neutroni; il torio si trasforma in uranio-233 che subisce fissione liberando energia e con formazione di neutroni che producono altro uranio-233 e sempre prodotti di fissione radioattivi, per cui neanche i reattori a torio sono poi “verdi”!

Giorgio Nebbia



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