Bioetanolo da biomassa lignocellulosica

Dalla possibilità di ottenere bioetanolo da biomassa lignocellulosica senza l’impiego di sostanze chimiche si possono prospettare positivi risultati per l’ambiente e per l’industria chimico-farmaceutica.

Pubblicato il 4 marzo 2015

La principale novità dell’elaborazione del processo per ottenere dalla biomassa lignocellulosica il bioetanolo sta nell’impiego di un sistema a basso impatto ambientale, che usa solo aria e vapore e consente di allontanare selettivamente gli inibitori della fermentazione degli zuccheri ottenuti dalla biomassa senza rimuovere i carboidrati solubili, preziosi per ottenere un alto rendimento del bioetanolo, e senza ricorso ai prodotti chimici.

Gli inibitori ottenuti dalla biomassa in seguito a questo trattamento possono essere recuperati per condensazione e valorizzati come coprodotti nell’industria chimico-farmaceutica. La biomassa lignocellulosica è costituita principalmente da cellulosa, emicellulosa, lignina più altri componenti organici e inorganici (sali minerali) i cui rapporti possono variare in funzione della tipologia o natura della biomassa. La struttura compatta determinata dalla cristallinità della cellulosa e dalla struttura tridimensionale della lignina rendono difficile la trasformazione nel prodotto desiderato.

Per questo motivo è necessaria una fase di pretrattamento per modificarne la morfologia, favorendo la rottura dei legami chimici tra i vari componenti della biomassa, per rendere più efficiente l’azione degli agenti biologici e chimici. Generalmente la fase di pretrattamento è di tipo idrotermico, il cui risultato è la destrutturazione a livello molecolare della biomassa, che rende più facile e meno impegnativa la separazione delle tre componenti emicellulosa, cellulosa e lignina, e che risulta particolarmente interessante perché comporta un basso consumo energetico, l’utilizzo di impianti relativamente economici e non richiede l’uso di particolari prodotti chimici.

Un esempio di impianto di steam explosion è attivato presso il Centro Enea della Trisaia. Il trattamento consiste nell’uso di vapore saturo ad alta pressione per riscaldare rapidamente la biomassa che è mantenuta ad una temperatura compresa tra 180 e 220 °C per un massimo di dieci minuti e successivamente la pressione viene riportata a livello di quella atmosferica realizzando una decompressione esplosiva che sfibra ulteriormente la biomassa, rendendola immediatamente pronta per l’utilizzo per la produzione di bioetanolo mediante processi di idrolisi della cellulosa e fermentazione alcolica.

Il pretrattamento però presenta come criticità il fatto di determinare la produzione di alcune sostanze che inibiscono il processo di fermentazione essendo nocive per i microrganismi utilizzati (per esempio, Saccharomycies cerevisiae). Queste sostanze quali acido formico, acido acetico, furfurale, idrossimetil furfurale e benzaldeide, sono generalmente dell’ordine di poche percentuali in peso rispetto al prodotto esploso e sono volatili. Finora i metodi di rimozione di detossificazione del materiale esploso erano: il lavaggio con acqua – che però provoca anche la perdita di oligomeri solubili che invece accrescono la resa etanolica – o l’essiccazione per molte ore in stufa a 60 °C – che d’altro canto irrigidisce la fibra e rende la saccarificazione meno efficace, abbassando di conseguenza i rendimenti – oppure i metodi altamente inquinanti per l’ampio ricorso a sostanze chimiche convenzionali con conseguenti problemi di smaltimento. L’invenzione, sperimentata in scala in laboratorio, può considerarsi significativa per analoghi impianti in scala industriale.

 

Enea: http://www.enea.it



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