Ecologia alimentare: il problema della scarsità delle risorse

Pubblicato il 14 aprile 2014

Il fabbisogno alimentare di ogni persona in un anno si aggira intorno a circa un milione di chilocalorie (4.000 megajoule) e a circa 20 chili di proteine. Gli esseri umani ricavano circa la metà del loro fabbisogno energetico e proteico dai cereali, il resto è ottenuto dai tuberi, dalle piante zuccherine, dalle leguminose, dalle verdure, da alimenti animali o dalla pesca. I principali cereali sono grano, mais e riso, a cui vanno aggiunti cereali ‘minori’ come orzo, avena, miglio. La produzione mondiale annua dei cereali si aggira intorno a 2.400 milioni di tonnellate, corrispondenti a circa 400 chili all’anno, per persona. Se si considera che un chilo di cereali fornisce circa 16 megajoule di energia e circa 100 grammi di proteine potrebbe sembrare che anche solo i cereali potrebbero fornire energia e proteine in abbondanza per la attuale popolazione terrestre di settemila milioni di persone.

La crisi alimentare mondiale deriva dalla grande differenza nella disponibilità di alimenti nei vari paesi; per restare ai cereali ogni abitante degli Stati Uniti e dell’Europa ‘consuma’, in media, circa 1.000 kg di cereali all’anno, di cui circa 300 kg come alimenti diretti – pane, pasta, dolciumi, eccetera – e circa 700 kg per l’alimentazione del bestiame che fornisce alimenti proteici – carne, uova, latte e latticini – di buona qualità, necessari per integrare le proteine vegetali che sono biologicamente ‘più povere’: però un chilo di carne ‘costa’ – richiede per l’alimentazione dell’animale da macellare – circa 10 kg di cereali.

Ogni abitante dei paesi africani e asiatici poveri ha a disposizione in media 200 kg di cereali, tutti utilizzati per il consumo diretto, in molti casi appena sufficienti per la sopravvivenza. La situazione però è molto più grave. Nei paesi arretrati una parte dei cereali va perduta per l’attacco dei parassiti, per la mancanza di sistemi di conservazione e immagazzinaggio. Inoltre ormai circa il 15 % della produzione mondiale di cereali è destinata alla produzione di alcol etilico carburante (il cosiddetto bioetanolo), in sostituzione della benzina.

Per restare ai cereali: ai circa 1.500 milioni di abitanti dei paesi del Nord del mondo, quelli che consumano grandi quantità di grano e mais e riso per assicurarsi una alimentazione abbondante e di buona qualità, si stanno rapidamente affiancando molte centinaia di milioni di nuovi consumatori, in India e Cina, che stanno salendo la scala che finora separava i poveri dai ricchi abitanti del Nord del mondo. I milioni che lavorano nelle fabbriche e nelle miniere dei paesi finora arretrati stanno chiedendo alimenti più abbondanti, e quindi più cereali. Non ci si può illudere che possa aumentare di molto la produzione agricola perché più si produce da ogni unità di superficie del terreno, più il terreno stesso viene impoverito delle sostanze nutritive (potassio, azoto, fosforo) delle piante per cui nuove coltivazioni richiedono crescenti consumi di concimi. La messa a coltura di nuove terre oggi occupate da foreste e vegetazione spontanea accelera i mutamenti climatici. L’agricoltura e la zootecnica comportano crescenti quantità di acqua e di energia che sono risorse naturali scarse.

Probabilmente la salvezza va cercata, da una parte, in una revisione dei consumi dei paesi ricchi, in una ‘guerra allo spreco’, di cui parla, inascoltato, Papa Francesco; dall’altra parte in un grande sforzo di ricerca tecnico-scientifica che aiuti i paesi emergenti a utilizzare meglio e a valorizzare le risorse agricole locali. Molti prodotti alimentari utilizzati per secoli nel Sud del mondo sono stati abbandonati per aderire alle mode di consumi esportate dai paesi industrializzati; molti prodotti agricoli dell’Africa e dell’America latina potrebbero essere meglio conservati, protetti dai parassiti, coltivati al posto delle monocolture che sono state imposte dal Nord industriale. Una chimica, biologia e ingegneria dell’amore per il prossimo, della solidarietà per coloro che hanno fame. E, nel mondo, sono ancora tanti, troppi.



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