Un modello di produzione sostenibile per la filiera lattiero-casearia

Pubblicato il 24 settembre 2015

Con il 36% della produzione nazionale, la Lombardia è di gran lunga il più grande produttore regionale di latte vaccino con un numero di capi corrispondenti a poco più di un terzo di quelli allevati in Italia. Come rispondere alla necessità di produrre meglio con minori costi economici e ambientali?

Nello scenario produttivo italiano, quello lattiero caseario è un settore di grande rilevanza economica, occupazionale, culturale e di immagine. Le sue componenti, agricola e industriale, contribuiscono rispettivamente con il 9,5% e l’11,5% al settore primario e all’industria alimentare italiana, per un fatturato pari a 15 miliardi di euro e un livello di esportazioni, in costante aumento, pari al 10% del totale agroalimentare. Per citarne solo alcuni, formaggi come il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il gorgonzola sono venduti e apprezzati in tutto il mondo. L’intero settore lattiero caseario occupa un totale di più di 110.000 lavoratori. Con il 36% della produzione nazionale, la Lombardia è di gran lunga il più grande produttore regionale di latte vaccino. I suoi prodotti lattiero-caseari contribuiscono con il 19,2% al totale delle esportazioni dell’industria agroalimentare. Gli allevamenti da latte lombardi sono circa 8.500, pari al 17% di quelli italiani, con un numero di capi corrispondenti a poco più di un terzo di quelli allevati in Italia. Questi risultati sono il prodotto di un know-how sviluppato a più livelli, dal management alla tecnologia e alla genetica, che garantisce l’eccellenza, la sicurezza e la qualità delle produzioni. È un primato da difendere e migliorare con l’introduzione di innovazioni che sappiano efficacemente rispondere alla maggiore tra le richieste congiunturali di questo periodo: la sostenibilità. Bisogna produrre meglio con minori costi economici e ambientali. Di seguito vengono presentati alcuni approcci innovativi ispirati da questa necessità e applicati nei diversi settori dell’alimentazione, della genetica e del benessere animale e del riutilizzo dei reflui zootecnici, piuttosto che utili ad incrementare la qualità microbiologia, nutrizionale e nutraceutica dei prodotti lattiero-caseari (Figura 1).

L’importanza della dieta e del miglioramento genetico animale

L’introduzione della tecnologia in allevamento, condizione imprescindibile per soddisfare la crescente richiesta di sostenibilità della produzione, ha dato luogo alla ‘zootecnia di precisione’: automazione e informatica sono sempre più presenti in stalla. Si va da sistemi di precisione per irrigazione e fertilizzazione dei campi, e per l’alimentazione degli animali (razione calibrata alle necessità fisiologiche e produttive individuali, così da minimizzare gli sprechi), alla mungitura meccanizzata e perfino ‘robotizzata’ (robot di mungitura in grado di mungere autonomamente e indipendentemente alcune decine o centinaia di capi). Sistemi di rilevazione automatica e sensori di monitoraggio permettono poi di raccogliere una grandissima quantità di informazioni utili alla gestione dell’allevamento: dalla quantità di latte e suo contenuto in grasso e proteine misurati direttamente all’atto della mungitura, agli analizzatori portatili a infrarossi che misurano la composizione dei foraggi, ai podometri e sensori ruminali che rilevano il movimento degli animali e l’attività ruminale. In allevamento sono sempre più presenti anche le webcam, dalle cui immagini si possono ricavare importanti informazioni sulla conformazione dell’animale, sul ‘body condition score’ (BCS: indicatore dello stato delle riserve corporee), sul comportamento della mandria; più recentemente, si è cominciato a installare anche microfoni in stalla, per rilevare ad esempio malattie respiratorie. Tutte queste informazioni vengono processate e coordinate da computer, ormai comuni in allevamento, mediante software pensati appositamente per la zootecnia, e che consentono all’allevatore di tenere sotto controllo la stalla e intervenire in maniera mirata. Con la crescente diffusione degli smartphone, sono state sviluppate anche app per l’allevamento, ad esempio per contare in automatico le cellule somatiche nel latte (indicatore della salubrità del latte e di possibili problemi alla mammella delle vacche) o per sapere quali vacche fecondare, a quali integrare la razione o dove intervenire per problemi di salute. Questa gran mole di dati si sta rivelando utilissima per la gestione dell’allevamento da latte, aumentandone sensibilmente efficienza e produttività, con ricadute positive sull’impatto ambientale della zootecnia e sul benessere degli animali. I dati raccolti in maniera così puntuale, dettagliata e automatica, sono una miniera d’oro anche per la selezione e il miglioramento genetico dei bovini da latte. Miglioramento genetico che, grazie ai progressi delle tecniche di sequenziamento del genoma, si è ormai spostato dai metodi classici di selezione basati su fenotipi e pedigree (genetica quantitativa) ai metodi di selezione ‘genomica’: la conoscenza della sequenza del genoma bovino permette di stimare con maggior precisione il valore genetico di tori e vacche per i caratteri oggetto di selezione, caratteri che vanno via via determinandosi in un’ottica di sostenibilità piuttosto che di sola produttività. Contenuto di cellule somatiche nel latte, fertilità e longevità delle vacche, resistenza alle malattie, qualità delle produzioni ed efficienza metabolica degli animali sono infatti tra i caratteri di crescente interesse per la selezione genetica. La tecnologia sta avendo un forte impatto anche negli aspetti legati alla salute degli animali e al controllo delle malattie veterinarie: in campo zootecnico è fondamentale la prevenzione delle malattie, e quindi la diagnostica assume un ruolo centrale. Le nuove frontiere vanno nella direzione della portabilità e dell’informatività sempre più spinta dei sistemi diagnostici indirizzati a diagnosi predittive dell’insorgenza delle malattie o multiple, capaci cioè di individuare contemporaneamente un intero pannello di microrganismi patogeni (virus, batteri e parassiti). Da ultimo, nuovi dispositivi diagnostici sono anche sviluppati per provvedere un’informazione più dettagliata sull’effettiva composizione delle diete somministrate agli animali in modo da garantirne la qualità, l’apporto proteico, la sicurezza, l’assenza di contaminanti e frodi, e il rispetto dei disciplinari di produzione, molto importanti per formaggi rinomati com’è il caso del Parmigiano Reggiano, al centro dello studio del progetto europeo Feedcode (www.feedcode-project.eu/).

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