Svelati i segreti della colla che tiene unite le ostriche

Il lavoro del team di Jonathan Wilker della Purdue University ha rilevato dei componenti chimici della colla prodotta dalle ostriche ed è stato reso noto dal Journal of American Chemical Society

Pubblicato il 22 settembre 2010

Jonathan Wilker, professore di chimica e ingegneria dei materiali presso la Purdue University, ha guidato il team che ha analizzato l’ostrica più comune negli Stati Uniti, Crassostrea virginica, nota come l’ostrica comune dell’Est.

“Avendo ora a disposizione una descrizione del cemento dell’ostrica, sarà possibile mettere a punto delle strategie per lo sviluppo di materiali sintetici che imitano la capacità del mollusco di fissarsi e di rimanere attaccato in ambiente umido”, afferma Wilker, che ha lavorato sulla progettazione di bioadesivi sintetici per più di 10 anni. “L’odontoiatria e la medicina possono beneficiare di tale materiale. Ad esempio, sarebbe bello avere un adesivo chirurgico che possa sostituire le graffette e i punti di sutura, che perforando i tessuti sani creano potenziali siti per l’infezione”.

Confrontando i gusci delle ostriche con il materiale che tiene uniti i molluschi tra loro, i ricercatori sono stati in grado di determinarne la composizione chimica. I risultati hanno mostrato che il collante contiene più acqua e quasi cinque volte la quantità di proteine contenute nel guscio. Il materiale adesivo differisce in modo significativo dalla composizione del guscio: ciò indica che le ostriche producono una sostanza chimicamente diversa per incollarsi tra loro.

Wilker, che studia anche l’adesione della cozza e del cirripede, descrive l’adesivo dell’ostrica più come una sostanza inorganica simile al cemento che il materiale organico simile alla colla prodotto da altri animali marini.

“Il cemento dell’ostrica sembra essere più duro delle sostanze utilizzate dalle cozze e dai cirripedi per attaccarsi alle rocce”, ha aggiunto. “Gli adesivi prodotti dai mitili e cirripedi sono fatti per lo più di proteine, ma quello prodotto dall’ostrica è composto per circa il 90 per cento di carbonato di calcio o gesso. Di per sé il gesso non è appiccicoso. Quindi il segreto dell’adesione dell’ostrica può essere una combinazione unica di questo componente inorganico duro con il restante 10 per cento del materiale che è proteina”. Questo 10 per cento di cemento dell’ostrica ha una certa somiglianza con la colla della cozza per quel che riguarda la sua composizione in proteine e per la presenza di ferro. Negli studi precedenti, Wilker ha scoperto che il ferro ha un ruolo chiave nel processo di indurimento e solidificazione della colla delle cozze, e potrebbe avere uno scopo simile nel adesivo delle ostriche.

Trovare elementi comuni nelle sostanze appiccicose prodotte dagli organismi marini è fondamentale non solo per lo sviluppo di adesivi sintetici ma anche per la messa a punto di trattamenti per prevenire l’accumulo di questi animali sulle navi.

Centinaia di diverse specie marine si attaccano alle navi, aumentando la resistenza dell’imbarcazione e riducendo quindi la velocità di navigazione. Prevenire e controllare il loro accumulo, detto fouling, comporta una spesa non indifferente per i proprietari delle imbarcazioni in tutto il mondo. Gli attuali metodi antivegetativi si basano sulla tossicità e gli scafi delle navi sono spesso ricoperti di una vernice a base di rame, che uccide gli organismi marini nei loro stati larvali. “Se riuscissimo a trovare una sostanza non tossica in grado di sconfiggere gli adesivi, potremmo tenere lontano i molluschi dalle navi senza danneggiare l’ambiente”, ha spiegato Wilker.

Le ostriche si attaccano l’una all’altra per riprodursi e proteggersi dai predatori e dalle grandi onde. Le barriere di ostriche possono estendersi per chilometri e filtrare grandi volumi di acqua, prevenire l’erosione e creare un muro contro le tempeste che protegge le coste. Inoltre, le scogliere creano un habitat per centinaia di altre specie.

La pesca eccessiva, l’inquinamento e le malattie hanno ridotto la popolazione di ostriche del 98 percento o più dalla fine del 1800. “Molte persone stanno tentando di reintrodurre gli animali nel loro habitat precedente”. Afferma Wilker e conclude: “Forse il nostro lavoro migliorerà la comprensione di questo mollusco e di ciò che è necessario per far prosperare le ostriche e il più grande ecosistema costiero”.

Purdue University: www.purdue.edu

 

Una colonia di ostriche presso il Baruch Marine Field Laboratory sulle coste del South Carolina.
(Photo courtesy of Jonathan Wilker/Purdue University)
 



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