Quanto costano i cambiamenti climatici?

Pubblicato il 28 gennaio 2015

Un recente studio che calcola gli impatti economici dei cambiamenti climatici mostra che i costi delle emissioni di anidride carbonica sono stati sottostimati. Gli scienziati di Stanford sostengono che il danno economico causato da una tonnellata di emissioni di anidride carbonica – a cui spesso ci si riferisce come “costo sociale” del carbonio – potrebbe in realtà essere sei volte più elevato del valore che gli Stati Uniti ora impiegano per dare direttive alle correnti norme sull’energia e forse le future politiche di mitigazione.

Un recente studio del governo degli Stati Uniti ha concluso, essendosi basato sui risultati di tre modelli di impatto economico ampiamente diffusi, che un’ulteriore tonnellata di anidride carbonica emessa nel 2015 potrebbe causare danni per un valore economico di 37 dollari. Si prevede che questi danni prendano varie forme, tra cui perdite di produttività nei raccolti agricoli, danni alla salute umana e un decremento della produttività della forza lavoro, il tutto connesso ai cambiamenti climatici.

Tuttavia secondo un nuovo studio, pubblicato online sul sito della rivista Nature Climate Change, il costo attuale potrebbe essere molto più elevato. “Stimiamo che il costo sociale del carbonio non sia di 37 dollari, come precedente stimato, ma 220 dollari a tonnellata”, ha affermato il coautore dello studio Frances Moore, candidato al dottorato di ricerca presso l’Emmett Interdisciplinary Program in Environment and Resources alla Stanford’s School of Earth Sciences.

Sulla base delle scoperte scientifiche, i Paesi potrebbero incrementare i loro sforzi per frenare le emissioni di gas a effetto serra: è quanto sostiene Delavane Diaz, candidato per il dottorato di ricerca al Department of Management Science and Engineering alla Stanford’s School of Engineering. “Se il costo sociale del carbonio è più alto, molti più provvedimenti per la mitigazione passeranno le analisi costi-benefici”, ha commentato Diaz, “perché le emissioni di carbonio sono così dannose per la società, che potrebbe perfino valere la pena mettere in campo anche strumenti costosi per la loro riduzione”.

Per la loro ricerca, Moore e Diaz hanno modificato un noto modello informatico per calcolare gli impatti economici dei cambiamenti climatici, conosciuto come un modello di valutazione integrata (Iam). La loro formulazione successiva ha incorporato recenti scoperte empiriche che fanno pensare che i cambiamenti climatici potrebbero sostanzialmente rallentare i tassi di crescita economica, in particolare nei Paesi poveri.

I modelli di valutazione integrata sono importanti strumenti per la politica. Perché includono sia i costi sia i profitti della riduzione delle emissioni, questi modelli possono informare i governi in merito al livello ottimale di investimenti nella riduzione delle emissioni. L’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti, per esempio, usa il valore medio di 37 dollari proveniente da tre modelli di valutazione integrata per stimare le norme sui gas ad effetto serra. Canada, Messico, Regno Unito, Francia, Germania e Norvegia hanno anche impiagato modelli di valutazione integrata per analizzare le proposte di politiche in fatto di clima ed energia.

Sebbene utili, i modelli di valutazione integrata devono elaborare numerose supposizioni semplificanti. Una limitazione, per esempio, è che questi modelli non riescono a spiegare come i danni associati ai cambiamenti climatici possano persistere nel tempo.

“Da 20 anni i modelli hanno assunto che i cambiamenti climatici non possono riguardare il tasso di crescita di base dell’economia”, dice Moore. “Ma un certo numero di nuovi studi fanno pensare che questo potrebbe non essere vero. Se i cambiamenti climatici interessano non solo la produzione economica di un Paese ma anche la sua crescita, allora ciò ha un effetto permanente che cresce nel tempo, portando a un costo sociale del carbonio”.

Nel nuovo studio, Moore e Diaz hanno impiegato un modello di valutazione integrata ampiamente diffuso, chiamato Dice (Dynamic Integrated Climate-Economy model, ovvero modello dinamico integrato clima-economia), e lo hanno modificato in tre modi: hanno considerato che i cambiamenti climatici influiscono sul tasso di crescita dell’economia; hanno reso conto dell’adattamento ai cambiamenti climatici; e hanno diviso il modello in due regioni per rappresentare i Paesi a basso e alto reddito.

“Sono stati effettuati molti studi che suggeriscono l’idea che ci sarà una differenza tra Paesi ricchi e Paesi poveri quando ci sarà da fare i conti con gli effetti dei futuri cambiamenti climatici, e noi abbiamo voluto considerarlo”, commenta Diaz. I Paesi poveri potrebbero essere più vulnerabili ai cambiamenti per ciò che concerne le precipitazioni e la crescita del livello del mare.

Un’importante scoperta del recente studio è che i danni associati alla diminuzione dei tassi di crescita economica giustificano un attenuazione molto rapida e pronta che è sufficiente a limitare l’aumento della temperatura globale di 2 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali. Questo è il target che alcuni esperti affermano essere necessario per evitare gli effetti peggiori del riscaldamento globale.

“Questo effetto non è incluso negli standard dei modelli di valutazione integrata”, ha detto Moore, “così finora è stato difficile giustificare le misure aggressive e potenzialmente costose di attenuazione dell’impatto dei gas serra perché i danni non sono ancora abbastanza estesi”.

Il modello di valutazione integrata della coppia di ricercatori mostra inoltre che i Paesi in via di sviluppo potrebbero soffrire maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici. “Se i Paesi poveri diventano meno vulnerabili ai cambiamenti climatici nella misura in cui cominciano ad arricchirsi, allora rimandare alcuni provvedimenti per la riduzione di emissioni finché essi non siano sviluppati in una maniera più completa potrebbe effettivamente essere percepito come la politica migliore”, osserva Diaz. “Il nostro modello indica che questo aspetto rappresenta una grave incertezza nelle politiche di attenuazione, non molto considerata nei precedenti lavori”.

Tuttavia i ricercatori rilevano due importanti precisazioni nel loro lavoro. La prima è che la rappresentazione che il Dice model fa dell’attenuazione è limitata: non tiene conto per esempio del fatto che le tecnologie pulite richiedono tempo per essere sviluppate e messe in atto. La seconda precisazione è che, mentre analizza gli effetti della temperatura sulla crescita economica, il modello non include i potenziali sforzi di attenuazione anche nella crescita dell’impatto.

“Per queste ragioni, il livello di attenuazione rapida e a breve termine rilevato nel nostro studio non necessariamente potrebbe essere ottimale dal punto di vista economico”, conclude Diaz. “Tuttavia questo non cambia il risultato complessivo, ovvero che se la temperatura colpisce i tassi di crescita economica, la società potrebbe affrontare danni al clima molto più ampi di quanto si riteneva in precedenza, e questo giustificherebbe politiche di attenuazione molto più severe”.

 

Foto di Robert S. Donovan, “Emissioni da un impianto alimentato a carbone”

 

Stanford University: http://www.stanford.edu



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