RMO 228- Maggio – 2020
Digitalizzazione e fabbriche sicure per la ripartenza
La chiusura delle fabbriche del comparto della meccanica strumentale in Italia ha inciso
per un miliardo e seicento milioni di euro al giorno in termini di ricavi persi. Durante il
lockdown il settore è stato tra i più penalizzati dalle restrizioni per produrre, largamente
assente nell’elenco dei codici Ateco ammessi. Acciaio, fonderie, impiantistica e automazione fino alla componentistica passando per la logistica: una realtà che in Italia dà lavoro a 1,6 milioni di addetti, genera oltre l’8% del Pil nazionale ed esporta per 222 miliardi di euro. Ossia poco meno dell’export nazionale.
Meccanica ed export sono legati a doppio filo quindi, grazie anche a posizioni e quote
di mercato conquistate nel tempo, grazie a un know how tecnologico e di competenze
riconosciuto. Ma la chiusura delle fabbriche italiane, diversamente da quelle dei maggiori competitor internazionali e da quelle dei Paesi che prima dell’Italia sono ripartiti, rischia di far perdere questo patrimonio inestimabile. Un patrimonio che molto difficilmente potrebbe essere ricostruito se venisse disperso.
Le fabbriche della meccanica sono da anni dei veri e propri laboratori tecnologici, dove
la sicurezza e l’incolumità dell’operatore sono un dato assodato che va solamente rimodulato recependo i dettami governativi in tema di Covid-19.
La ripartenza porterà però con sé anche delle accelerazioni a delle modalità che avrebbero avuto un tempo più lungo di introduzione, ma che erano ormai in divenire: la digitalizzazione e l’interconnessione. Diventeranno quindi la nostra normalità gli incontri coi clienti via teleconferenza, il lavoro in smart working o i collaudi in remoto.
Luca Rossi