Economia circolare e supply chain, i risultati di una ricerca IFS
Economia circolare e supply chain: una ricerca IFS rivela che le grandi aziende devono innovare per contrastare le strozzature nelle catene di fornitura, ma aumentano i costi e le complessità Il 66% delle aziende preferisce mantenere un livello più elevato di scorte; il 70% ha aumentato il numero di fornitori e il 72% ricorre di più ai fornitori locali
Due terzi (66%) delle grandi aziende a livello mondiale dichiara di mantenere un livello più elevato di scorte rispetto al periodo pre-Covid e quasi una su cinque del totale intervistato (18%) ha ora un livello ‘significativamente più elevato’ di scorte. La crescente necessità di adottare misure innovative per contrastare i problemi di fornitura emerge da una ricerca commissionata da IFS che ha coinvolto un campione di oltre 1.450 senior manager di grandi aziende in Europa, USA ed Emirati Arabi Uniti.
A ulteriore riprova dell’impatto che stanno avendo i colli di bottiglia delle catene di fornitura, sette intervistati su dieci (70%) hanno affermato di avere aumentato il numero di fornitori di materiali/prodotti per cercare di ovviare alle attuali criticità. Inoltre, circa i tre quarti (72%) del campione dichiara di avere aumentato i volumi di materiali/prodotti ordinati da fornitori locali a causa di queste difficoltà.
Globalmente, queste misure innovative possono potenzialmente accrescere le complessità e causare più sprechi nella supply chain, in un momento in cui l’inasprimento delle normative (citato dal 15% del campione come una delle principali cause delle trasformazioni in atto nell’organizzazione aziendale) e la necessità di sfruttare i molteplici benefici dell’economia circolare rendono più complessa la gestione della catena delle forniture. In linea con questa tendenza, è positivo che il 93% del campione affermi che la propria azienda ha adottato l’economia circolare o intende farlo in futuro.
Tuttavia, molte aziende hanno difficoltà a realizzare gli obiettivi e circa il 60% dichiara di non averli ancora raggiunti o di essere in fase di elaborazione, di non averli ancora programmati o di averne interrotto il perseguimento. Anche tra gli intervistati che affermano di avere già adottato l’economia circolare, il 23% ritiene che le aspettative in termini di economia circolare dei clienti non influisce, o influisce negativamente, sulla customer experience, anche se nel tempo i vantaggi della circolarità intesi anche come capacità di permettere una migliore customer experience dovrebbero diventare più chiari.
Per ora, stando all’indagine, molte grandi aziende hanno riprogettato la propria catena delle forniture rendendola più innovativa in modo da ridurre le criticità, per esempio decidendo di rilocalizzare la produzione per migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti, mantenere più scorte al fine di poter sempre far fronte alla domanda o aumentare il numero di fornitori per avere sempre a disposizione i prodotti richiesti dai clienti.
Maggie Slowic, Global Industry Director for Manufacturing di IFS, ha commentato: “Le grandi aziende rischiano di dover affrontare costi molto più elevati o di dover risolvere altri problemi finanziari a seguito delle misure adottate per far fronte alle interruzioni delle catene delle forniture. Rilocalizzare la catena di fornitura comporta spesso investimenti in materie prime o componenti più costosi, soprattutto ora con l’inflazione galoppante, mentre avere più scorte in magazzino significa bloccare somme ingenti che potrebbero essere investite per sviluppare l’attività”.
Nonostante i considerevoli benefici dell’economia circolare, la necessità di adottarla può causare notevoli difficoltà alle grandi aziende i cui impianti e processi non sono pronti per gestire la riduzione degli sprechi e il riuso e riciclo dei materiali. A ciò si aggiungono le pesanti ricadute macroeconomiche che le aziende continuano a subire, prima con il Covid e ora con la guerra in Ucraina.
Inoltre, l’indagine rivela che molte grandi aziende lamentano la mancanza di talenti. Il 65% degli intervistati dichiara che la propria azienda ha difficoltà a coprire le posizioni aperte (soprattutto per la penuria di candidati qualificati e di professionalità esperte) e il 39% ritiene che i problemi dovuti alla carenza di personale qualificato si protrarranno anche nel 2023 per la propria azienda.
Secondo Maggie Slowic, “le aziende devono subito trovare una soluzione per gestire questi effetti dirompenti sul loro business, accentuati dalla crescente volatilità dei prezzi, effettuare la transizione verso l’economia circolare e affrontare le attuali criticità delle catene di fornitura. Per gestire tutte queste complessità, soprattutto in un momento in cui scarseggiano le competenze, dovranno investire in tecnologie che offrano l’agilità e la tempestività necessarie per comprendere e prevedere meglio la domanda. Per risolvere questo problema in maniera efficiente e vantaggiosa, dovranno posizionarsi in modo tale da non accontentarsi di sopravvivere ma di proiettarsi verso un futuro prospero”.
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