Ecologia alimentare: il lievito artificiale
Qual è la storia, in natura ed ecologia, dei prodotti che arrivano sulla nostra tavola? È importante conoscere il processo che trasforma i prodotti agricoli e zootecnici in articoli commerciali. Quando un’allergia diventa spunto per la ricerca di un chimico: il lievito artificiale.
La leggenda vuole che la signora Elisabetta Bird, di Birmingham, non potesse mangiare il pane perché allergica al lievito, l’insieme di microrganismi che, aggiunti all’impasto da pane, scompongono l’amido presente nella farina, lo trasformano in zuccheri e scompongono gli zuccheri in alcol etilico e anidride carbonica, la quale fa rigonfiare l’impasto prima della cottura.
L’affettuoso marito Alfred decise di cercare un lievitante diverso e pensò di usare la reazione fra il bicarbonato di sodio e un sale acido, miscelati dentro l’impasto; dalla loro reazione si libera abbastanza rapidamente anidride carbonica, la stessa prodotta dal lievito naturale. La cosa riuscì con la moglie e Bird decise di mettere la sua miscela a disposizione di altri, anzi di farne oggetto di produzione commerciale.
Nel 1843 nasceva così il lievito artificiale; ne parlarono i giornali e negli anni successivi nacquero altre ditte che producevano lieviti artificiali tutti a base di bicarbonato di sodio, molto apprezzati dai fornai e che permettevano di preparare il pane in modo rapido anche per i soldati durante le campagne militari. Arrivò a questo punto Eben Horsford, un chimico che era andato a perfezionare i suoi studi in Germania nel laboratorio del famoso Justus Liebig; anche Liebig aveva pensato ad un lievito artificiale, ma senza successo. Horsford invece, tornato negli Stati Uniti, preparò una nuova formula.
Fino ad allora come sale acido era stato usato il cremor tartaro, tartrato acido di potassio, che si recupera dalle fecce che restano sul fondo dei tini del vino e che veniva importato dalla Francia e dall’Italia. Il bicarbonato e il tartrato assorbivano l’umidità e dovevano essere venduti in bustine separate, il che era molto scomodo per i panettieri. Horsford decise invece di usare, insieme al bicarbonato, il fosfato acido di sodio e creò nel 1855 una società per fabbricare l’acido fosforico e il fosfato, e un lievito artificiale che era venduto in una sola confezione; per evitare che i due sali assorbissero acqua, Horsford aggiunse polvere di amido. La sua ditta, con sede a Providence, nello stato del Rhode Island, prese il nome di Rumford, in onore del chimico e fisico americano nato a Rumford, nel vicino stato del New Hampshire.
Da allora fu una corsa continua: dopo la guerra civile americana (1861-1865) i fratelli Joseph e Cornelius Hoagland cominciarono a vendere un lievito artificiale col nome Royal Baking Powder, un marchio, quello Royal, che è sopravvissuto fino al secolo ventesimo; il lievito artificiale ebbe continua diffusione anche per uso domestico. Chi sa se nell’Expo 2015 ci sarà un banco dedicato al lievito artificiale; intanto le lettrici che usano questo utile ingrediente per le loro buone torte rivolgano un grato pensiero ai lontani pionieri chimici che l’hanno inventato.
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