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n.5 marzo 2012
IMPRONTE
I primi passi dell’ingegneria idraulica
Come risultato della tecnica di escavazione
del terreno, probabilmente qualcuno ha
scoperto che in alcuni di essi si trovava, a
una certa profondità, dell’acqua dolce che
poteva essere sollevata come si faceva con
quella delle cisterne.
Non si sa esattamente quando, ma col
progredire delle tecniche di escavazione,
qualcuno ha pensato di scavare dei pozzi
per raggiungere le falde sotterranee. Doveva
essere una pratica nota fin dai tempi più
antichi e se ne trovano varie citazioni nella
Bibbia; molte località portavano e portano
ancora un nome che contiene quello dei
pozzi, ”ber”, la cui acqua doveva essere
sollevata a mano, un’operazione in genere
affidata alle donne, o, più tardi, alle norie.
Un importante passo successivo fu quello
di collegare fra loro vari pozzi mediante
un canale sotterraneo orizzontale in
pendenza, in modo da far sfociare questo
fiume artificiale sotterraneo nei campi e nei
villaggi. Ingegnose strutture, chiamate qanat,
che si trovano in tutti i Paesi aridi; originati
probabilmente in Persia, i qanat si sono
diffusi, attraverso misteriosi meccanismi di
trasmissione delle conoscenze, verso oriente
fino in Cina, e verso occidente nel Nord
Africa e in Europa, probabilmente attraverso
l’occupazione araba. Si trovano qanat a
Palermo, in Spagna e in altri Paesi europei.
Si trovano dei qanat perfino nell’America
meridionale, arrivati non si sa come.
La più comoda fonte di acqua dolce per gli
umani, gli animali e l’irrigazione è sempre
stata comunque, certamente, “il fiume”, con
l’inconveniente che in genere l’acqua dei
fiumi o dei laghi si trova a un livello inferiore
a quello delle utilizzazioni: abitazioni, campi
coltivati, allevamenti. Non c’è quindi da
meravigliarsi se le prime “civiltà”, cioè i primi
insediamenti di numerose persone con attività
diversificate, “urbane”, sono state lungo i
fiumi. A questo punto, bisognava realizzare
tecnologie in grado di sollevare l’acqua dei
fiumi e di trasportarla per gravità a distanza,
con minime perdite di evaporazione. La
distanza dal fiume ai villaggi e ai campi
poteva essere accorciata mediante dei canali
scavati nel terreno; per grandi distanze
bisognava ricorrere a canali artificiali sotto
forma di tubazioni in cui avviare l’acqua verso
i luoghi di utilizzazione, cioè a veri e propri
acquedotti.
La costruzione degli acquedotti richiedeva la
soluzione di altri problemi tecnici; da tempi
antichissimi, qualcuno aveva scoperto che
l’argilla poteva essere resa impermeabile
mediante cottura e venivano prodotti vasi e
piatti. La produzione di tubi abbastanza lunghi
di argilla cotta deve essere stata un grande
passo avanti.
Per sfruttare la sua discesa naturale, l’acqua
dei fiumi o dei laghi doveva essere sollevata
a una certa altezza prima di essere immessa
nelle tubazioni; all’arrivo nei villaggi e nelle
città, l’acqua veniva raccolta in grandi
cisterne sopraelevate da cui era attinta dagli
abitanti.
Nel caso in cui la pendenza dell’acqua del
fiume era limitata, qualcuno scoprì che era
possibile aumentare il dislivello, e favorire
la discesa nei canali e negli acquedotti,
sbarrando il fiume nella parte più alta in
modo da formare un lago da cui far partire
gli acquedotti. Le dighe all’inizio erano
probabilmente costituite da sbarramenti di
pietre.