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n.4 novembre 2011
IMPRONTE
soprattutto in Inghilterra, costrinse i
governanti a emanare le prime leggi contro
l’inquinamento; nelle grandi città come Parigi
e Londra le fognature diventarono opere
monumentali.
Ma un vero e proprio problema dei ri¿uti e di
riciclo comincia con la rivoluzione chimica del
1700.
Il primo processo chimico industriale in senso
moderno è stato quello, inventato alla ¿ne
del Settecento dal chimico francese Nicolas
Leblanc (1742-1806), per la produzione del
carbonato sodico in due passaggi; il primo
consisteva nel trattare il cloruro di sodio con
acido solforico, col che si formava solfato
di sodio e il ri¿uto era l’acido cloridrico
gassoso che per molto tempo è stato
immesso nell’atmosfera, con grave disturbo
per la popolazione vicina e distruzione della
vegetazione.
Il secondo passaggio consisteva nello
scaldare il solfato di sodio con carbone
e carbonato di calcio, col che si otteneva
carbonato di sodio (peraltro sporco con residui
di carbone) e solfuro di calcio, poco solubile
in acqua. Il ri¿uto solido del processo, in un
primo tempo lasciato in mucchi all’aria aperta
ed esposto alle piogge, liberava idrogeno
solforato, altro gas nocivo e puzzolente. Le
proteste contro l’inquinamento atmosferico - la
prima contestazione ecologica - spinsero gli
industriali della soda a cercare delle soluzioni.
Da ri¿uto a materie seconde
Gli inquinatori scoprirono che dai ri¿uti era
possibile recuperare qualcosa di utile e
vendibile (i primi processi di riciclo e riutilizzo
dei ri¿uti): dall’acido cloridrico era possibile
ottenere cloro, una merce vendibile; dal
solfuro di calcio era possibile recuperare zolfo,
vendibile alle fabbriche di acido solforico.
Nel corso dello stesso Ottocento grandi
progressi in siderurgia erano stati possibili
dall’invenzione, a opera dell’inglese Henry
Bessemer (1813-1898), del convertitore che
permetteva di trasformare la ghisa fusa,
all’uscita dall’altoforno, in acciaio: la ghisa era
posta entro un recipiente sferico in cui veniva
iniettata aria; l’ossigeno reagiva col carbonio
presente nella ghisa, con liberazione di calore
suf¿ciente a teneva fusa la massa dell’acciaio
che si andava formando. Dopo qualche tempo
si è scoperto che alcuni minerali, come quelli
della Lorena, al con¿ne fra Francia e Germania,
fornivano ghise che non erano “decarburate”
col forno Bessemer perché contenevano
fosforo. Lo scozzese Sidney Thomas (1850-
1885) scoprì, nel 1878, che, rivestendo le
pareti interne dei forni Bessemer con dolomite,
era possibile decarburare anche le ghise
fosforose. Il carbonato di calcio e magnesio
assorbiva il fosforo sotto forma di fosfati e
anzi il rivestimento, staccato periodicamente
dall’interno del forno Thomas, poteva essere
venduto come concime fosfatico, altro esempio
di impiego commerciale di una scoria. I forni
Bessemer producevano acciaio a poche
tonnellate per volte; l’inventore francese Pierre
Emile Martin (1824-1915) nel 1865 mise a
punto un forno che poteva decarburare la ghisa
su larga scala con un forno che poteva essere
caricato con ghisa fusa, ma anche con i rottami
di ferro. Nel corso dell’Ottocento tali rottami
si stavano accumulando a mano a mano che
i macchinari venivano sostituiti e, da ri¿uti
diventavano così materie prime, anzi materie
seconde, come si chiamano oggi.
Il problema discarica
Nel Novecento il problema dei ri¿uti si è
ulteriormente aggravato: nuove invenzioni,