Aumenta la domanda, su il prezzo del petrolio

Gli istituti di ricerca, le agenzie governative e i Paesi produttori di petrolio prevedono un moderato aumento del prezzo medio del barile WTI dai 51 dollari registrati nel 2017 ai 54 dollari attesi nel 2018. Non senza grandi oscillazioni, visto che al momento in cui scriviamo la quotazione ha superato i 66 dollari al barile. Nel 2017 sono cresciute sia la domanda sia l’offerta di petrolio e per la prima volta dal 2013 il mercato ha registrato un periodo di offerta «insufficiente» a seguito della decisione dell’OPEC di tagliare la produzione per aumentare il prezzo medio del barile precipitato ai primi del 2016 addirittura sotto i 30 dollari. Questi sono solo alcuni dei risultati dello studio 2018 Oil price forecast: who predicts best? Firmato da Roland Berger. La società di consulenza tedesca ha analizzato le previsioni dei prezzi dei maggiori istituti di ricerca e agenzie governative passando al setaccio le dinamiche del mercato anche dei dieci maggiori Paesi esportatori di petrolio dal 1999 al 2017: Algeria, Iran, Iraq, Kuwait, Messico, Nigeria, Norvegia, Russia, Arabia Saudita e Venezuela. «Le modalità di analisi e proiezione dell’evoluzione del prezzo del barile di petrolio di Paesi produttori, da una parte, e di istituti di ricerca e agenzie governative, dall’altra, differiscono completamente fra loro», afferma Paolo Massardi, Senior Partner di Roland Berger. E spiega: «Per quel che concerne le stime dei Paesi produttori pesano molto (a volte troppo) le esigenze di bilancio delle entrate statali. Istituti e agenzie invece fanno leva soprattutto sugli indicatori macro economici. In passato una maggiore stabilità di domanda e offerta consentiva ad entrambe le parti di avere una buona affidabilità, mentre negli ultimi anni la situazione si è profondamente modificata».
Sulla base delle previsioni effettuate dal 1999 al 2017, Iraq, Nigeria e Arabia Saudita risultano i Paesi produttori di petrolio con le previsioni più affidabili. La conferma arriva anche dalle loro stime per il 2017: il prezzo medio previsto dai tre Paesi si aggirava intorno ai 55 USD al barile, contro un prezzo effettivo attestatosi a quota 51 USD. Eppure il margine di errore dei Top 3 è stato alto: il 20%, per l’esattezza. Tale gap in buona parte è riconducibile a una stima rialzista dell’Arabia Saudita che ha inciso pesantemente sulla media. Al contrario, i tre principali istituti di ricerca, la New York Mercantile Exchange (NYMEX), l’US Energy Information Administration (EIA) e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), hanno previsto il prezzo medio del petrolio per l’anno 2017 con una precisione dell’8%. Secondo Roland Berger, dal 2009 le previsioni degli istituti di ricerca ed agenzie governative sono state mediamente più accurate di quelle dei Paesi produttori di petrolio, invertendo un periodo precedentemente caratterizzato da stime più affidabili provenienti proprio dai Paesi produttori.
Dal 2012 il trend è definitivamente cambiato a favore degli istituti di ricerca ed agenzie governative che ad oggi sono rimaste addirittura imbattute nella precisione delle loro previsioni. Riprende Paolo Massardi, Senior Partner di Roland Berger: «Si può semplificare l’analisi dicendo che di fatto la capacità dei Paesi produttori ed esportatori di petrolio di influenzare in maniera significativa il prezzo nel breve-medio periodo si è drammaticamente ridotta. E di conseguenza quella di predirne l’evoluzione. Ma c’è di più. L’Arabia Saudita, da sempre vero market maker, ha dovuto fare un compromesso fra esigenze di bilancio di breve periodo e l’ottimizzazione di medio-lungo periodo».
Per quel che concerne la produzione di petrolio tout court, l’ascesa dei produttori di olio di scisto USA e l’aumento della loro capacità di compensare eventuali squilibri produttivi da parte dei tradizionali Paesi produttori hanno reso gli Stati Uniti il più grande produttore della materia prima più ricercata al mondo. Tra il 2008 e il 2017, i pozzi americani hanno rappresentato oltre il 60% dell’aumento della produzione a livello mondo. I notevoli aumenti della produttività negli Stati Uniti hanno consentito alle aziende di operare in modo redditizio a bassi livelli di prezzo. Gli esperti di Roland Berger sono sicuri: le industrie dei Paesi concorrenti devono seguire l’esempio USA adottando nuove tecnologie per guadagnare una migliore efficienza produttiva e questa gara è solo all’inizio. Ma c’è di più: solo con lo sfruttamento dei big data e lo sviluppo di soluzioni di intelligenza artificiale, i gruppi petroliferi mondiali saranno in grado di produrre a costi più economici di quanto possano fare oggi. E ancora: «La vera sfida per i big del petrolio è legata alla possibilità di produrre, ovvero estrarre e immettere sul mercato i volumi strettamente necessari con un match in “tempo reale” fra domanda ed offerta» conclude Massardi. «La tecnologia per monitorare le esigenze del mercato già esiste. Al contrario, la capacità di prevedere le mosse dei competitor in un “commercial war-gaming” in tempo reale e massimizzare il proprio profitto a scapito di quello generale deve ancora essere affinata».
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