Osservazioni sugli aspetti ambientali dell’incidente Costa Concordia

Secondo MWH, dopo la messa in sicurezza, è necessario il monitoraggio a lungo termine dell’impatto delle sostanze presenti sulla nave sull’ambiente marino e costiero, sulla fauna e la flora

Pubblicato il 23 gennaio 2012

Per il relitto della nave Costa Concordia è fondamentale predisporre e condurre un piano di monitoraggio ambientale che perduri per tutto il tempo di permanenza della nave nella posizione attuale. È quanto afferma MWH, multinazionale di ingegneria e consulenza ambientale, responsabile della sorveglianza delle operazioni di messa in sicurezza e bonifica del relitto principale della Haven, superpetroliera affondata al largo di Genova nel 1991.

Posto che – una volta completate le operazioni di salvataggio – la messa in sicurezza della nave nel più breve tempo possibile è l’obiettivo primario da perseguire, bisogna anche considerare che la permanenza di un’imbarcazione di tali dimensioni su un fondale comporta danni ambientali non trascurabili a lungo termine e che vanno necessariamente considerati e monitorati fin da subito.

Dalle informazioni attuali, i serbatoi della nave contengono 2.400 tonnellate di olio combustibile molto denso che, se rilasciate in mare, causerebbero un enorme disastro ambientale che potrebbe coinvolgere, oltre all’isola del Giglio, anche le regioni della costa tirrenica. Le operazioni di svuotamento, però, non possono essere effettuate finché non terminano le operazioni di soccorso e sono influenzate anche dalle condizioni meteorologiche e del mare.

Oltre ai rischi collegati al carburante, l’impatto ambientale del tragico incidente, potrebbe derivare dallo sversamento in mare di tonnellate di altre sostanze pericolose come lubrificanti, vernici e sostanze clorurate, nonché dagli oggetti dei 4.000 passeggeri, alcuni dei quali particolarmente nocivi: basti pensare alle batterie di telefoni e fotocamere.

La molteplicità dei materiali rilasciati durante l’affondamento di una nave di tali dimensioni, definiti anche come “Sorgenti Inquinanti Affondate” (Sia), può comportare danni più o meno gravi all’ambiente marino in funzione dei vari prodotti e delle loro caratteristiche fisico-chimiche, delle quantità rilasciate, della profondità della sorgente, del moto ondoso, delle caratteristiche biologiche dell’area dove essa giace e della prossimità ad ecosistemi sensibili. Minacce anche per la salute umana possono concretizzarsi attraverso fenomeni di bioaccumulo di sostanze tossiche, facilitati dalla tendenza dei pesci predatori di grande taglia ad aggregarsi in presenza di un oggetto cospicuo che, come un relitto, si elevi dal fondale.

Secondo MWH, la prima cosa da verificare è la sussistenza di fenomeni di rilascio del contenuto delle Sia. Compito tutt’altro che semplice: molti inquinanti di origine industriale, infatti, non causano danni nell’immediato e sono difficili da rilevare.

Per valutare quindi se il contenuto dell’oggetto affondato si sia già liberato o se tale evento stia per verificarsi, è necessario ricorrere a tecniche d’investigazione particolari, compatibili con le condizioni ambientali da affrontare. La fauna e la flora marine in particolare, data la loro permanenza nel substrato, offrono possibilità di rilevare gli effetti anche a breve termine di inquinanti persistenti rilasciati sul fondale dove vivono. Se si sospetta che possano essere stati rilasciati inquinanti che emettono radiazioni, è obbligatorio cercare di rilevarle in via prioritaria.

Una volta accertata l’assenza di Sia, si può procedere alla messa in sicurezza della nave, quindi alla completa rimozione della sorgente inquinante o alla sua minimizzazione ed eventualmente intervenire per facilitare il ripristino delle condizioni ambientali.

MWH: www.mwhglobal.com 



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