Ciad: disastro ambientale e cooperazione

Pubblicato il 15 ottobre 2015

Il Lago Ciad nella regione del Sahel – tra le frontiere del Ciad, Camerun, Nigeria e Niger – rischia di diventare un ricordo sulle carte geografiche se non si interviene ad arginare il suo progressivo prosciugamento. Questa riserva d’acqua dolce, la quarta per grandezza in Africa, garantisce la sopravvivenza di oltre trenta milioni di persone e il suo inaridimento – in circa cinquant’anni si è ridotto a meno di un decimo dell’estensione che aveva negli anni Sessanta – rischia di provocare una crisi ambientale, ecologica e umana di enormi dimensioni, con conseguenze anche sulle ondate migratorie già in atto, dirette verso l’Europa e soprattutto verso l’Italia. Il bacino idrico africano è il perno intorno al quale ruota un delicato equilibrio economico e geopolitico di una vasta area che si affaccia sulle sue rive e beneficia delle sue risorse. “Fermare l’agonia del lago Ciad avvalendosi delle più avanzate conoscenze scientifiche e tecnologiche è cruciale per garantire un futuro di pace a un’area particolarmente delicata del mondo. Occorre intervenire sui fattori di fragilità di questo delicato e complesso ecosistema. La crescente desertificazione, la perdita costante e progressiva di acqua e cibo rendono inospitale l’intera area favorendo il radicalizzarsi dei conflitti e dei fondamentalismi concause delle attuali grandi ondate migratorie”, spiega Luigi Nicolais, Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) che insieme a Confederazione italiana agricoltori, Fao, Società geografica italiana e Accademia nazionale delle scienze detta dei XL, ha organizzato il convegno “Il lago Ciad: un serbatoio di cibo e acqua tra disastro ambientale e cooperazione internazionale. Quale contributo possibile dal ‘sistema Italia’?” tenutosi ieri, presso Expo. Il Meeting internazionale, si è articolato in due panel di interventi e una tavola rotonda.

Vi hanno preso parte tra gli altri: Romano Prodi, presidente della Fondazione per la collaborazione tra i popoli, Diana Bracco, Commissario generale di sezione per il padiglione Italia all’Expo, Luigi Nicolais, presidente del Cnr, Wassalké Boukari, Ministro dell’Idraulica e della bonifica della repubblica del Niger, Jacques Lemoalle, ricercatore emerito dell’Institut de recherche pour le développement – Ird, Dino Scanavino, presidente della Confederazione italiana degli agricoltori, Michel Dimbele Kombe, Direttore dell’Osservatorio del bacino del lago Ciad, Paolo Sannella, presidente Centro relazioni con l’Africa della Società geografica italiana, Giampaolo Cantini, Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli esteri, Lucio Caracciolo, direttore di ‘Limes’. L’evento, con tavola rotonda moderata da Giorgio Pacifici, giornalista scientifico del TG2-RAI, è stata l’occasione per fare il punto sulle cause dell’inaridimento e sui possibili interventi per salvare il lago. “In tal senso, vogliamo analizzare le potenzialità della cooperazione internazionale per risolvere criticità e sottolineare il ruolo centrale dell’Italia in questi processi di collaborazione”, ha affermato Giuseppe Palmisano, direttore dell’Istituto di studi giuridici internazionali del Cnr e coordinatore dell’evento. Tra le soluzioni prospettate c’è l’ipotesi di deviare le acque di alcuni affluenti del fiume Congo. “È questa però un’operazione complessa e rischiosa che va fatta con criterio: le terre coltivabili emerse come risultato del progressivo asciugamento del lago sono molto fertili e ben utilizzate per l’agricoltura, quindi sommergerle potrebbe rappresentare un ulteriore problema”, continua. “Sull’aspetto della sua rivitalizzazione a fini agricoli c’è grande disponibilità a collaborare, anche se ce n’è meno rispetto all’ipotesi di usarlo anche per la produzione di energia. In ogni caso la Commissione per il bacino del lago Ciad sta svolgendo un importante ruolo di mediazione e coordinamento tra Niger, Ciad, Nigeria e Camerun, Paesi confinanti e interessati ad evitare che l’ulteriore impoverimento delle popolazioni che vivono in quelle zone faciliti la penetrazione di gruppi estremisti e terroristici, come per esempio Boko Haram”, prosegue Palmisano. “Il ruolo dell’Europa e dei Paesi europei è cruciale, non solo per lo sviluppo dell’Africa e per limitare i massicci flussi di migranti economici, ma anche per ridimensionare i rischi di un progressivo ‘land grabbing’, un pericoloso accaparramento di terre realizzato con capitali stranieri, che può avere pesanti conseguenze per le popolazioni locali e le economie di intere regioni”.



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