La prima cosa che mi ha colpito di questa Enciclica è la sua esposizione – ampia, aggiornata e puntuale – delle principali problematiche ambientali della nostra epoca: dall’inquinamento dell’aria ai rifiuti (con un preciso riferimento alla necessità di “un modello circolare di produzione”), dalla questione della disponibilità e qualità dell’acqua dolce e alla perdita di biodiversità, dall’inquinamento dei mari e degli oceani, al deterioramento della qualità della vita e della mobilità nelle città.
Ma anche sulle questioni più delicate e controverse, come quella degli organismi geneticamente modificati (Ogm), propone un’analisi precisa, informata, non riduttiva e semplicistica, che coglie il vero punto critico: il loro impiego in agricoltura per la produzione di cereali transgenici che “distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce la diversità nella produzione e colpisce il presente e il futuro delle economie regionali”. Incisiva e di particolare interesse è anche l’ampia parte dedicata ai cambiamenti climatici che “sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”. Poiché “la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra emessi soprattutto a causa dell’attività umana […] è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di anidride carbonica e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile”.
L’Enciclica segnala che si sono fatti passi avanti sia nelle rinnovabili, sia nelle modalità di produzione, nel trasporto e negli edifici migliorando l’efficienza energetica ma che “queste buone pratiche sono lontane dal diventare generali”. L’ecologia proposta da Papa Francesco non è riduzionista e settoriale, ma “integrale”: lega strettamente ambiente umano e ambiente naturale “che si degradano insieme”, presta particolare attenzione al fatto, indubbio, che “il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del Pianeta”. E più avanti, in modo efficace, aggiunge: “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Per questo “è fondamentale cercare soluzioni integrali che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali”.
Articolate e complesse sono le direttrici di azione proposte da Papa Francesco. Provare a fare una sintesi e una riflessione su queste numerose proposte non è per niente semplice. Ho letto e ascoltato diversi commenti di questa Enciclica in questi giorni. Ho avuto l’impressione che alcuni commentatori abbiano scelto qualche frase a piacimento (per esempio la citazione sui salvataggi delle banche a spese dei cittadini) per proporre una lettura che a me, in genere, è sembrata carente e riduttiva.
In attesa di uno studio più approfondito e di partecipare a qualche discussione che mi aiuti a capirla meglio, consapevole di correre qualche rischio di semplificazione, provo a mettere in fila alcune riflessioni sulle proposte di questa Enciclica. Anche perché penso che questa Enciclica sia di tale rilevanza anche per il mondo ecologista da richiedere una reale e aperta discussione.
Fra le proposte a me balza agli occhi un forte richiamo alla necessità di “fermarsi e pensare”, di maturare una maggiore e più responsabile consapevolezza della crisi ambientale della nostra epoca. “La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via d’uscita… Tuttavia sembra riconoscere sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degrado…”.
Il livello di gravità, di punto di rottura, raggiunto, complessivamente, dalla crisi ambientale (e da quella sociale e umana connesse) emerge in modo diffuso da questa Enciclica che lancia un segnale d’allarme, non il primo, ma certo fra i più autorevoli per “delineare dei grandi percorsi di dialogo che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando. Allarme aggravato dalla constatazione della inadeguatezza delle risposte”. Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali, senza compromettere le generazioni future”.
In queste carenze di leadership, l’Enciclica di papa Francesco, sottolinea in modo diretto e critico le carenze della politica dei giorni nostri: incapace e troppo debole a livello internazionale, con scarsa lungimiranza e troppo subordinata a logiche economiche di breve termine e troppo fiduciosa in visioni tecnocratiche obsolete. Il giudizio diventa tagliente quando constata “il dramma di una politica focalizzata sui risultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumiste” nella quale “la miope costruzione del potere frena l’inserimento dell’agenda ambientale lungimirante all’interno dell’agenda pubblica dei governi”. C’è invece bisogno di una forte e responsabile iniziativa politica perché “urgono accordi internazionali che si realizzano […] occorrono quadri regolatori globali che impongano obblighi e che impediscano azioni inaccettabili”. Analogo ragionamento riguarda le politiche e le norme di tutela ambientale efficaci da adottare nei singoli Paesi. Per fare questo “abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi… Se la politica non è capace di rompere una logica perversa e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità”.
Una sfiducia nella politica? Non direi. Il Papa, infatti, non esita a parlare di “grandezza della politica” che “si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”. Un altro grande filone di riflessione e di proposte di questa Enciclica investe l’economia “con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo” con tutta una serie di prese di posizione a favore di uno sviluppo sostenibile, di critica alle logiche di mercato e di breve termine, alla crescita economica che non sempre ha portato reale benessere, mentre ha generato disuguaglianze sociali e danni ambientali. “Quando si pongono tali questioni”, afferma Papa Francesco, “alcuni reagiscono accusando gli altri di pretendere di fermare irrazionalmente il progresso e lo sviluppo. Ma dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo. Gli sforzi per un uso sostenibile della risorse naturali non sono una spesa inutile, bensì un investimento che potrà offrire altri benefici economici a medio termine. Se non abbiamo ristrettezze di vedute, possiamo scoprire che la diversificazione di una produzione più innovativa e con minore impatto ambientale, può essere molto redditizia. Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo”.
Attenzione a non fraintendere il termine “decrescita” nelle proposte del Papa: alcune attività e realtà devono decrescere (quelle ad altro impatto ambientale) e altre devono crescere (quelle innovative a minore o nullo impatto) comunque abbandonando i miti della priorità della crescita economica senza qualità sociale e ambientale. Strano che non la nomini espressamente, ma questa a me pare l’esposizione della visione della green economy. La riflessione sulla scienza e la tecnologia, pur inserendosi in un solco ormai arato dalla cultura cattolica, è però arricchita da un approccio ecologista. Esse, infatti, non solo “non sono neutrali, ma possono implicare dall’inizio alla fine di un processo diverse intenzioni e possibilità”, ma richiedono una riflessione più ampia che ci porti a “rallentare la marcia per guardare la realtà in altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane”. La critica al “paradigma tecnocratico”, al potere assoluto, al dominio illimitato della scienza e della tecnica, è radicale e consolidato nella Chiesa cattolica. Anche se Papa Francesco non si limita a questo riferimento ma ribadisce che “la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla e di metterla al servizio di una altro tipo di progresso”.
C’è infine la parte direi forse più incisiva – anche più congeniale al pensiero di questo Papa? – di questa Enciclica: quella che riguarda l’azione dal basso, dai territori, dalle comunità locali, dalla famiglia, dai comportamenti, dai modelli di consumo e dagli stili di vita. Per avere cura della casa comune non bastano buone leggi, è indispensabile l’impegno di ciascuno. Suggestiva è la proposta di “conversione ecologica”: una vera e propria conversione, nel senso più profondo e più ampio del termine perché “non si tratta tanto di parlare di idee, quanto soprattutto di motivazioni che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare una passione per la cura dell’ambiente”.
Sulla spiritualità e sull’etica il discorso si fa più complicato. Papa Francesco né è consapevole ed espressamente si domanda: “Perché inserire in questo documento, rivolto a tutte le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede?”. Convinzioni di fede che in realtà attraversano l’intero testo e che – se lette con lo spirito di chi punta a costruire “grandi percorsi di dialogo” fra tutte le persone di buona volontà, credenti in diverse fedi religiose e non credenti – aiutano a comprendere meglio le proposte. L’amore del creato come amore per il Creatore e la missione affidata da Dio all’umanità di coltivare e custodire la terra: sono due delle idee religiose che ispirano questa enciclica con una grande forza motivante per i credenti.
Ma solo per loro? A me non pare: la cura della casa comune richiede non solo capacità e motivazioni scientifiche e tecniche, ma amore e rispetto per valori universali, in questo senso sacri e inviolabili. Dobbiamo imparare a coltivare per godere i frutti della natura, avendone però cura perché è un bene in sé. Lo spirito di Papa Francesco non è divisivo: anche quando espone il proprio punto di vista religioso cattolico, punta al dialogo e mostra, in più parti, che la sua ecologia, non riduzionista e non settaria, è trasversale, punta ad attraversare gli schieramenti, tutti gli schieramenti, compresi quelli fra credenti in religioni diverse e fra non credenti.
A me pare di cogliere questo spirito di dialogo anche quando Papa Francesco, dopo aver ribadito in più parti l’ampio fondamento nella dottrina cattolica e nelle prese di posizione di altri Pontefici suoi predecessori della sua visione ecologista, non esita a riconoscere criticamente anche la necessità di superare “una presentazione inadeguata dell’antropologia cristiana che ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo… Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile”.
Commentando San Francesco, proposto quale riferimento fondante di questa Enciclica, il Papa scrive: “Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea”: una sintesi dell’ecologia integrale proposta da Papa Francesco con parole ispirate dalla tradizione cristiana francescana capaci di giungere alla mente e al cuore di tutti.
Dopo questa Enciclica penso che sarà difficile essere ecologisti senza essere anche un po’ francescani.