Residuo di farmaci: un nuovo pericolo per le acque.

Pubblicato il 10 aprile 2002

Gran parte degli studi finalizzati alla comprensione delle trasformazioni che possono subire le sostanze farmaceutiche, una volta immesse nell’ambiente, sono stati condotti essenzialmente sugli antibiotici (Richardson and Bowron, 1985), per i quali sono disponibili dati circa la loro biodegradabilità (Halling-Sorensen et al., 1998). Per determinare sostanze, quali il ceftiofur e le tetracicline, è stata accertata la possibilità di indurre loro trasformazioni solo attraverso processi di tipo abiotico (Gilbertrson et al., 1990; Oka et al., 1989).
Allo stato attuale, tra le svariate classi di farmaci, sono disponibili in letteratura informazioni sulla biodegradabilità soltanto per le seguenti sostanze farmaceutiche:
– Aspirina Richardson and Bowron, 1985;
– Caffeina Richardson and Bowron, 1985;
– Clofibrato Richardson and Bowron, 1985;
– Ciclofosfammide Steger-Hartmann et al., 1996;
– Estrogeni Shore et al., 1992; Shore et al., 1993;
– Ibuprofen Sanyal et al., 1993;
– Naproxene Richardson and Bowron, 1985.
Anche per quanto concerne la tossicità sugli organismi viventi, con l’eccezione di alcune sostanze:
– Clofibrato (Kopf, 1995); Ibuprofen (Sanyal et al., 1993; Elvers and Wright, 1995; Knoll, BASF, 1995);
– Estrogeni (Shore et al., 1992; Shore et al., 1993); Propanolo (Calleja et al., 1993; Lilius et al., 1995) la maggior parte degli studi si riferisce alle sostanze di tipo antibiotico, pertanto, ad eccezione degli antibiotici, non esistono dati di biodegradabilità, tossicità e “destino” dei farmaci nell’ambiente naturale. Recenti ricerche condotte su alcune sostanze xenobiotiche hanno dimostrato chiaramente che questi composti, anche in concentrazione di qualche nanogrammo per litro, possono indurre effetti nocivi per l’ambiente. Esistono in letteratura chiari risultati che dimostrano gli effetti degli anticoncezionali di natura sintetica, presenti a livelli di alcuni ng/litro negli effluenti di depuratori civili, sul sistema endocrino dei pesci (Larsson et al., 1999). I risultati finora riportati suggeriscono che “la tendenza a considerare non pericolosa per la salute umana e per le specie viventi la presenza di sostanze farmaceutiche nell’ambiente, anche a livelli di concentrazione molto bassi”, meriterebbe di essere attentamente riesaminata (Colburn and Clement, 1992).
Il rischio ambientale connesso con la presenza di tali sostanze nell’ambiente non è stato fino ad oggi oggetto di specifiche indagini. Negli Stati Uniti, ad esempio per l’introduzione di un nuovo prodotto sul mercato, è sufficiente che la stima delle concentrazioni prevedibili nell’ambiente indichi un valore al di sotto di 1 ppb perché nessun controllo venga effettuato nel tempo per verificare la correttezza di tale stima (Raloff, 1998). Per l’introduzione di nuovi farmaci nei Paesi dell’Unione Europea (Italia compresa) la valutazione del rischio ambientale non è richiesta.
Molto limitati, poco frequenti e non sempre pienamente affidabili sono gli studi fino ad oggi condotti sulla persistenza di tali sostanze nell’ambiente e sugli effetti che possono esercitare sugli organismi viventi acquatici alle concentrazioni alle quali sono presenti nelle acque come anche quelli dedicati alla possibilità di trattamento con metodologie chimiche e biologiche di acque superficiali o civili contenenti sostanze di interesse farmaceutico.

Da quanto detto, risulta chiaro l’interesse a sviluppare processi di purificazione rapidi, sensibili ed economici capaci di assicurare la distruzione di composti inquinanti presenti anche in basse concentrazioni in vari tipi di effluenti acquosi, nonché metodi di analisi adatti ad un efficiente monitoraggio del processo. Varie ricerche (Zafìriou et al., 1979; Zepp et al., 1981; Zepp et al., 1985; Scully and Hoignè, 1987) hanno rivelato che nell’ambiente acquatico naturale molte sostanze chimiche possono subire processi di fotodegradazione diretta o indiretta (l’interazione della luce solare con specie fotosensibilizzanti quali nitrato, acidi umici e ioni di metalli capaci di produrre specie chimiche altamente reattive che attivano la degradazione dell’inquinante).
I processi di ossidazione avanzata (AOP) vanno sicuramente annoverati tra le tecnologie di trattamento che hanno riscosso maggiore interesse negli ultimi anni. Tali processi risultano essere tutti caratterizzati dalla formazione di radicali OH che assicurano una elevata reattività e bassa selettività. Tra i principali processi di ossidazione avanzata vanno ricordati quelli che si basano sull’utilizzo di ozono in presenza di promotori quali H202, radiazioni UV(Andrezzi et al., 1999) o ioni metallici in presenza di particolari substrati organici (i.e. Mn (II)/acido ossalico (Andreozzi et al., 1992; Andreozzi et al., 1996; Andreozzi et al., 1997; Legube and Leitner, 1999) o del sistema H202/UV (Andreozzi et al., 2000, Andreozzi et al. 2001).
Più di recente, notevole interesse sta suscitando il sistema Fe (III)/H202/UV (*> 300 nm) (FotoFenton) (Pignatello and Huang, 1993; Huston and Pignatello, 1999) basato sulla classica reazione di Fenton associata ad una reazione di riduzione fotolitica del Fe (III) che utilizza la radiazione UV normalmente incidente alla superficie terrestre.
Numerosi sono gli esempi di applicazione dei sistemi sopra citati al trattamento di soluzioni acquose contenenti sostanze organiche tossiche e di difficile rimozione mediante processi di trattamento convenzionali (Haag and Yao, 1992; Legrini et al., 1993; Glaze et al., 1995; Safarzadeh-Amiri et al., 1996; Oliveros et al., 1997; Beltran et al., 1997a; Beltrar et al., 1997b; Gracia et al., 1998; Cooper and Burch, 1999; Kiwi et al., 1999; Kang et al., 1999).