Processi innovativi per una buona acqua da bere

Pubblicato il 2 giugno 2002

Sono 42 miliardi i metri cubi d’acqua utilizzati nei differenti settori di attività (agricoltura, usi civili e industriali); di questi, 6 miliardi sono destinati agli usi civili. La quantità media fornita dagli acquedotti è di 307 litri al giorno per abitante (Istat, 1987). Tuttavia il 35% della popolazione, pur servita da una rete acquedottistica, non dispone di acqua sufficiente in uno o più trimestri all’anno. Il ricorso alla potabilizzazione ha subito, tra il 1975 ed il 1987, un incremento di circa sette volte ed è attualmente applicato su circa un terzo degli acquedotti. Il 60 % dell’acqua subisce un semplice trattamento di disinfezione (con cloro, biossido di cloro, radiazioni ultraviolette) mentre un 15% è sottoposto ad un trattamento chimico o chimico-fisico. Negli ultimi dieci anni, per rispondere all’esigenza di qualità sempre più elevata, il trattamento dell’acqua destinata al consumo umano è diventato sempre più complesso. Lo stato dell’arte e le tecniche avanzate nel trattamento dell’acqua destinata al consumo umano sono argomenti trattati ai Congressi mondiali dell’IWA di Berlino nell’ottobre 2001 (si veda il numero di novembre di Inquinamento) e in quello più recente (aprile 2002) di Melbourne in Australia. Gli impianti di potabilizzazione sono stati interessati dalle innovazioni tecnologiche per assicurare una qualità dell’acqua distribuita in grado di soddisfare i limiti stabiliti dalle normative. Le tecnologie sviluppate nel corso degli ultimi anni si basano, essenzialmente, sui principi fisici, chimico-fisici, biologici, quali l’adsorbimento, lo strippaggio, l’ossidazione, la biodegradazione, la sedimentazione, la filtrazione. Trattamenti più complessi sono richiesti per le acque superficiali, quali quelle attinte da lago e da corsi d’acqua (fiumi, torrenti, canali). È richiesta altresì l’aggiunta di additivi chimici per la destabilizzazione delle sospensioni, per l’aggiustamento del pH, per la disinfezione.

Giova ricordare tra le tecnologie quelle a membrana con micro, ultra e nano – filtrazione, che si sono rivelate adeguate per la potabilizzazione delle acque, in particolare nell’eliminazione di microrganismi, come ad esempio i virus. Più delicato è l’impiego nei processi di potabilizzazione di ossidanti quali ozono, derivati del cloro (ipoclorito e biossido di cloro), permanganato di potassio, perossido di idrogeno, radiazioni ultraviolette, sia soli sia in combinazione, con lo scopo di: rimuovere selettivamente i solfuri, il ferro (II), il manganese (II), alcune sostanze organiche; decolorare le acque ricche in acidi umici; rimuovere odori e sapori; modificare le proprietà della coagulazione; aumentare la biodegradabilità di alcune sostanze organiche; inattivare i microorganismi patogeni. Il loro impiego comporta però anche la formazione di sottoprodotti, sui quali, in questi ultimi anni, è stata posta particolare attenzione per i loro effetti pericolosi sulla salute umana. Il recente decreto legislativo del 2 febbraio 2001 n° 31, se da una parte introduce una “deregulation”, dall’altra riduce la concentrazione massima ammissibile di alcuni elementi e composti e ne introduce di nuovi. Tra i nuovi parametri introdotti nella legislazione vanno ricordati gli idrocarburi clorati, per i quali è stata fissata una concentrazione limite di 30 µg/l, al posto di 100 µg/l indicati dalla direttiva europea. L’utilizzo di ossidanti alternativi al cloro, ad esempio l’ozono ed il biossido di cloro, spostano il problema degli idrocarburi clorati ai sottoprodotti, quali il bromato o i residui dell’ossidante, come il clorito, per il quale è stato fissato un valore limite di concentrazione di 200 µg/l, inserito peraltro solo nella normativa del nostro Paese.

Per alcuni metalli e non metalli, in particolare piombo, nichel, arsenico e antimonio, i valori di concentrazione limite sono stati ridotti, mentre sono state fissate soglie di concentrazione limite per alcuni composti cancerogeni che si possono trovare come impurezze nei polielettroliti (acrilammide) o nelle resine di scambio ionico (epicloridrina) o nelle tubazioni di policloruro di vinile (cloruro di vinile). Riemergono i problemi legati all’ottimizzazione delle catene di trattamento per rispettare i valori limite indicati dalla normativa, ma anche per assicurare una buona stabilità chimica e biologica dell’acqua fino al rubinetto del consumatore. Se la qualità dell’acqua distribuita è lo scopo principale dei distributori d’acqua, non risulta facile il suo raggiungimento. Salvo poche eccezioni, manca una cultura dell’acqua potabile, la gestione degli acquedotti è irrazionale, gli sprechi elevati, i controlli non sempre efficaci, la ricerca tecnologica è quasi assente. Sono oltre 13 mila gli acquedotti con reti modellate prevalentemente sulla dimensione territoriale dei Comuni. L’eccessiva frammentazione determina basse economie di scala, ostacola una vera e propria programmazione, accresce i rischi di trascuratezza degli impianti. L’inefficienza della rete acquedottistica è confermata dall’elevata percentuale d’acqua che viene dispersa nella fase che va dall’erogazione agli utenti finali. Le perdite accertate della rete idrica del nostro Paese (oltre 150 mila chilometri) sono dell’ordine del 27%, con picchi superiori al 40%. Lo stato dei servizi idrici appare attualmente in Italia piuttosto carente in tutte le fasi relative al ciclo dell’acqua: approvvigionamento, distribuzione, scarico e depurazione. Ingenti sono gli interventi per colmare le carenze nell’approvvigionamento potabile e per intervenire sulle deficienze di qualità, anche grazie al ricorso ad approvvigionamenti alternativi.

Gli interventi per il ripristino e l’ammodernamento della rete acquedottistica sono dell’ordine di 15-25 mila milioni di euro. I limitati investimenti, sia da parte delle imprese e degli enti pubblici sia delle aziende private, pongono il nostro Paese agli ultimi posti, con una spesa per la ricerca e lo sviluppo appena dell’ 1% in rapporto al P.I.L. e con risorse umane impegnate dell’ 8%. Nel settore delle acque gli investimenti per la ricerca sono minimi. L’attenzione verso il settore del sistema idrico diventa strategica in un momento di grandi cambiamenti ed in ordine alla complessità dei problemi connessi alla razionalizzazione del settore, alla trasformazione societaria dei soggetti gestori, nonché all’eventuale partecipazione di capitali privati. Si tratta di rispondere a tre sfide: la prima rappresentata dall’urgenza di portare l’approvvigionamento idrico a livello europeo; la seconda riguarda la necessità di adeguare il sistema degli impianti alle prescrizioni delle direttive europee; la terza, e forse più difficile sfida, è quella di superare i forti vincoli di bilancio dello Stato e degli Enti Locali, convogliando capitali e capacità manageriali privati in un settore vitale del sistema di infrastrutture del Paese.