MiTE, ecco il Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee
Il Piano stabiliste un sostanziale stop a nuovi permessi per il petrolio e la ripresa per le prospezioni e le estrazioni di gas in terra e nell'offshore italiano
Potrà essere una coincidenza del tutto casuale oppure si è atteso appositamente il pronunciamento della Commissione Ue.
Fatto sta che a pochi giorni di distanza da quando è stata formulata la proposta finale della Commissione Ue in materia di tassonomia, con la discussa decisione di includere gas e nucleare tra le fonti energetiche utili alla transizione ecologica, il MiTE ha presentato il Piano Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee, che anche passato sotto l’acronimo PiTESAI.
Si è quindi concluso l’iter di approvazione che va a sanare un ritardo di almeno due anni. Il Piano individua le aree in cui è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale. L’iter ha visto un complesso lavoro iniziale di mappatura, portata avanti insieme ad istituti di ricerca specializzati (Ispra, Rse), in seguito al quale il MiTE ha proposto il Piano che è stato così sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS), processo che prevede una fase di consultazione interamente pubblica. Il 29 settembre 2021, in linea l’impegno preso, il Piano è stato consegnato dal MiTE avviando così la fase di interlocuzione con la Conferenza Unificata che a dicembre 2021 si è pronunciata positivamente, proponendo il vincolo di valutazione di possibili attività connesse a permessi di ricerca limitandole esclusivamente al gas.
Il PiTESAI ha l’obiettivo di fornire regole certe agli operatori e di accompagnare la transizione del sistema energetico nazionale definendo le priorità sia in un’ottica di decarbonizzazione – in linea con gli accordi internazionali di tutela dell’ambiente e della biodiversità – che del fabbisogno energetico. Nella realizzazione del Piano, si è tenuto conto dei criteri di sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale ed economica.
Il Piano stabiliste un sostanziale stop a nuovi permessi per il petrolio e la ripresa per le prospezioni e le estrazioni di gas in terra e nell’offshore italiano. Si tratta di un primo passo verso l’incremento della produzione del gas italiano, una delle armi governative per contrastare il caro energia. L’idea di non piace al mondo ambientalista che è già sceso in piazza in 44 città con manifestazioni ‘no gas’.
Gli organizzatori della protesta chiedono che il governo faccia la sua parte nel contrastare la crisi climatica, definendo subito un piano di uscita dal gas fossile e che gli investimenti previsti in questo settore, comprensivi di Capacity Market (il meccanismo con cui ci si approvvigiona di capacità di energia elettrica con contratti a termine) e che ci costeranno almeno 30 miliardi di euro, vengano direzionati sull’unica vera soluzione: le fonti rinnovabili.
Complessivamente nel 2021 l’Italia ha prodotto circa 3,2 miliardi di metri cubi di gas e ne ha usati poco più di 72. La ripresa delle estrazioni potrebbe portare a un raddoppio della produzione italiana, arrivando così ad un 10% circa del fabbisogno nazionale. Per raggiungere l’obiettivo fondamentale l’aumento dell’estrazione e il ruolo dell’offshore del Mare Adriatico.
Il Pitesai riguarda un ambito del 42% del territorio italiano e stabilisce la chiusura alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di tutte le aree marine e terrestri non comprese nell’ambito territoriale di riferimento della pianificazione e valutazione del Piano. Tra le aree che non potranno più essere interessate da attività di ricerca e coltivazione, le Regioni Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Liguria, Umbria, in parte Toscana e Sardegna, e a mare il 5% della intera superficie marina sottoposta a giurisdizione italiana.
Franco Metta
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