Lo sviluppo sarà sostenibile?

Pubblicato il 1 novembre 2002

A distanza di dieci anni dal primo summit mondiale sullo sviluppo sostenibile tenutosi a Rio de Janeiro, il vertice di Johannesburg, che ha visto coinvolti i delegati di 190 paesi, si è aperto con molte attese ma in un clima di scarsa fiducia, alimentato dall’incertezza e dalle ben note posizioni degli Stati Uniti. Per dieci giorni nella metropoli sudafricana si è cercato di raggiungere un’intesa su temi scottanti come salute, acqua, energia, biodiversità, clima e finanze, ma i risultati vengono per lo più considerati incerti o insoddisfacenti. Ciò in considerazione del fatto che da questo vertice sarebbe dovuto scaturire un piano di attuazione degli impegni assunti dieci anni prima per la sostenibilità ambientale dello sviluppo. Ma il piano approvato a quanto pare non contiene elementi essenziali per la sua efficacia, quali obiettivi quantificabili, scadenze per il loro sviluppo e un meccanismo per il loro monitoraggio. Negli articoli che seguono si propone una rassegna delle diverse notizie fornite dai quotidiani nel periodo di svolgimento del vertice dalle attese ai risultati.

La promettente e fiduciosa posizione dell’UE

L’avvio del vertice mondiale è stato promettente secondo la UE, che si è dimostrata fin dall’inizio ottimista sulla possibilità di giungere ad un piano di attuazione soddisfacente, come riporta una notizia Ansa del 29 agosto scorso. La pubblicazione “L’ambiente per gli europei”, resa nota all’apertura del vertice e manifesto della posizione europea, propone obiettivi molto concreti in cinque settori fondamentali:
• Acqua: l’obiettivo è dimezzare entro il 2015 il numero di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, in una realtà ove da una parte il consumo di questa risorsa vitale aumenta globalmente del 2-3% all’anno, dall’altra circa un miliardo di persone soffre tutti i giorni di grave scarsità e 3 miliardi non hanno accesso a sistemi igenico-sanitari;
• Energia: l’obiettivo è di dotare di elettricità un miliardo di persone entro il 2015, aumentando la quota globale delle fonti energetiche rinnovabili di almeno il 15% nell’approvvigionamento primario entro il 2010;
• Salute e brevetti: la UE sottolinea che ‘”nell’ambito del Wto, i paesi membri dovrebbero risolvere le vertenze sulle licenze obbligatorie ed adoperarsi affinché i prodotti farmaceutici siano messi a disposizione dei paesi in via di sviluppo ai prezzi più bassi possibili”;
• Biodiversità: l’obiettivo è quello di invertire la tendenza attuale, secondo la quale il 25% delle specie di mammiferi e l’11% delle specie di uccelli sono minacciati dall’estinzione;
• Finanze: l’UE evidenzia il proprio impegno, preso a Monterrey, per portare la media degli aiuti europei dallo 0,31% allo 0,39% entro il 2006.

Un avvio difficile

All’apertura dei lavori del vertice la situazione non appariva di certo rosea: se la cronaca era costellata di notizie catastrofiche sullo stato del pianeta, l’Unione Europea non sembrava avere una posizione comune, gli Stati Uniti davano per morto il Vertice, i Paesi del terzo mondo chiedevano grandi aiuti economici vincolanti, con la richiesta che il loro sviluppo venisse finanziato oltre che con il denaro anche con la caduta di quelle barriere sulle importazioni che rendono nullo lo sforzo di produrre.
Di fronte a tale situazione l’occidente non vuole essere limitato nelle scelte energetiche né intende fidarsi troppo di regimi che offrono scarse garanzie di trasparenza e di impegno affidabile. Lo sviluppo programmato dai Paesi ricchi, come sottolinea La Stampa del 26 agosto scorso, oltre a favorire l’accesso al mercato in un concorso d’azione il privato, le istituzioni, finanziarie internazionali, si deve contemporaneamente far carico di sviluppare la capacità locale di produrre e di trasferire ai paesi poveri le tecnologie pulite. Rio de Janeiro ha in qualche modo influenzato l’andamento e le scelte fatte dalla banca mondiale e anche in materia di direttive Europee ci ha spinto a ridurre sprechi energetici ad investire in sostenibilità ambientale.

Una conclusione poco soddisfacente ma non un fallimento

La domanda è ovvia: è stato un fallimento, o c’è qualcosa da salvare nel Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile? Un articolo del Manifesto del 5 settembre scorso riporta in sintesi posizioni ambientaliste in merito all’esito del vertice. Secondo The Ecologist, voce autorevole a livello internazionale dell’ambientalismo, il vertice si è concluso senza obiettivi chiari e senza scadenze ed ha rappresentato un passo indietro per la sostenibilità ambientale; in parole povere è stato un fallimento. Lo stesso segretario generale dell’Onu Kofi Annan ha ricordato che “questa non è Rio”: dieci anni dopo il Vertice della Terra, questo doveva essere il vertice della messa in pratica. Non lanciare nuovi concetti e principi, ma realizzare l’Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile. Il piano d’azione approvato e la dichiarazione politica sono documenti deboli, che hanno raccolto le critiche delle organizzazioni non governative ambientaliste o di sviluppo, dei movimenti sociali e di molti governi. Per The Ecologist “Il Piano d’azione contiene pochissimi obiettivi e scadenze per l’azione concreta, non è legalmente vincolante, non prevede meccanismi per chiamare i governi a praticare quanto avranno firmato – al contrario dei negoziati sul commercio nell’ambito del Wto, che sono legge”. Le organizzazioni ambientaliste internazionali invece analizzano punto per punto, criticano e soppesano, ma non osano parlare di fallimento. La responsabilità maggiore viene attribuita all’“ostruzionismo degli Stati Uniti”, che hanno sistematicamente rifiutato ogni riferimento a obiettivi misurabili e a date, oltre che alla mancanza di volontà politica dell’Unione europea. Sulle grandi questioni ambientali il Piano d’azione approvato a Johannesburg è nel migliore dei casi innocuo. Non pone obiettivi circa il passaggio alle energie rinnovabili (l’Unione europea in principio voleva scrivere un impegno a farne il 10% delle fonti primarie d’energia entro i prossimi quindici anni: ma poi ha ceduto alle pressioni di Usa e alcuni grandi paesi produttori di petrolio). Incoraggia vagamente l’uso di energie pulite, ma vi include anche le grandi centrali idroelettriche, le megadighe contro cui sono mobilitati un po’ ovunque ambientalisti e popolazioni locali. Circa la biodiversità, il Piano d’azione fa semplicemente appello a “ridurre in modo significativo” la perdita di varietà biologica sul pianeta: è molto più precisa la Convenzione sulla biodiversità approvata a Rio dieci anni fa, che ha poi dato luogo a un trattato sulla biosicurezza approvato all’inizio del 2000. È stato molto sbandierato l’impegno a dimezzare entro il 2015 il numero di persone che non hanno accesso all’acqua potabile – ma le promesse non costano nulla, e il piano d’azione non dice molto sulla gestione dei bacini acquiferi. Le grandi crisi ambientali non sono state al centro del Vertice di Johannesburg, se non come richiamo retorico. Nessun nuovo impegno finanziario da parte dei paesi ricchi: salvo il rifinanziamento per 2,9 miliardi di dollari in 4 anni del Gef, il Fondo globale per l’ambiente (gestito dalla Banca mondiale) che doveva finanziare progetti di “sviluppo sostenibile”. In questo quadro poco edificante lo spiraglio di speranza deriva dal fatto che i principi generali che avevano segnato il Vertice di Rio hanno resistito, sebbene a fatica, e che il Protocollo di Kyoto entrerà presto in vigore, nonostante gli Stati Uniti apparsi assai isolati a Johannesburg.