L’Energy & Strategy Group presenta lo Smart City Report

Pubblicato il 29 ottobre 2015

Le Nazioni Unite stimano che la popolazione mondiale dovrebbe passare dagli attuali 7,3 miliardi a 9,7 miliardi nel 2050 e, mentre oggi il 54% delle persone vivono in aree urbane, nel 2050 questa percentuale salirà al  66%. Queste previsioni impongono una profonda riflessione sull’evoluzione delle città verso le cosiddette Smart City.

A tale scopo,  l’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano ha realizzato lo Smart City Report. In particolare, il rapporto si focalizza sugli ambiti, fra quelli definiti nella letteratura sulle Smart City, che hanno come denominatore comune l’adozione di tecnologie  relative alla produzione, gestione ed utilizzo efficiente dell’energia:

Smart Living – Attenzione al miglioramento della vivibilità per i cittadini in ambito urbano, attraverso l’ottimizzazione dei servizi pubblici offerti al cittadino e l’adozione di soluzioni tecnologiche per l’efficienza energetica in ambito domestico ed urbano;

Smart Mobility – Ottimizzazione della mobilità all’interno dell’ambito cittadino, attraverso la diffusione di soluzioni di trasporto innovative e sostenibili (biocarburanti, veicoli a bassa emissione, in particolar modo veicoli elettrici, e sviluppo di car‐pooling e car‐sharing);

Smart Environment – Attenzione alla sostenibilità ambientale della città, attraverso ad esempio l’utilizzo efficiente delle fonti energetiche disponibili, l’integrazione di nuove fonti di energia rinnovabile, la riduzione degli sprechi nella gestione delle risorse idriche e dei rifiuti.

La ‘costruzione’ di una Smart City passa attraverso l’interazione di tre elementi fondamentali:  tecnologie, attori pubblici e privati e modelli di finanziamento. All’interno del rapporto, ciascuno di questi elementi è valutato sulla base di diversi parametri a verificare se esistono i requisiti necessari per la creazione di questo tipo di città. L’analisi mostra che attualmente c’è un notevole discrepanza tra le caratteristiche delle tecnologie, gli attori e i modelli di finanziamento in gioco e quelle che gli stessi dovrebbero avere per favorire la diffusione della ‘smartness’ in città. Emerge pertanto un problema di sistema, quasi di natura strutturale, che riguarda le possibili interazioni fra i diversi elementi fondamentali. L’unica via di uscita sembra quindi essere quella di adottare un modello di business, cioè dei meccanismi di governo dei progetti delle Smart city che permettano di ridurre le discrepanze e riallineare gli interessi dei diversi soggetti in campo.

Dall’analisi dei casi di successo che già oggi contraddistinguono il panorama europeo – a partire dall’analisi delle due maggiori città di ciascun Paese europeo in termini di abitanti, è emerso che la principale differenza fra i casi più virtuosi di smartness e quelli meno virtuosi non risiede nell’orizzonte temporale di intervento, e neppure nella localizzazione geografica, bensì nel business model utilizzato per gestire i progetti. Sono infatti due i modelli di business ricorrenti che è possibile isolare e che sono stati chiamati modello di sviluppo ‘organico’ e modello di sviluppo ‘additivo’.

Nel modello di sviluppo organico è presente una ‘cabina di regia’ composta da i soggetti normalmente coinvolti nella realizzazione di progetti Smart City, che  coordina sin dall’inizio le attività di pianificazione e realizzazione dei progetti e assume un ruolo formale nella gestione dei progetti. Nel piano di azione vengono indicati gli obiettivi da raggiungere e le relative modalità e tempistiche. Gli ambiti tecnologici coperti sono molteplici e i requisiti delle singole tecnologie abilitanti vengono definiti ed ottimizzati secondo un’ottica ‘organica’. Il modello di finanziamento privilegiato è il PPP, che permette agli enti pubblici di attrarre e reperire risorse finanziarie non disponibili al proprio interno.

Nel modello di sviluppo additivo, invece, è la Pubblica Amministrazione ad assumere tipicamente il ruolo di principale promotore dei progetti di Smart City e il supporto dei soggetti privati e dei fornitori di servizi di pubblica utilità risulta piuttosto limitato. Di fatto, viene a mancare quella ‘cabina di regia’ che guida lo sviluppo secondo il modello organico. Non esiste un piano d’azione che indica gli obiettivi da raggiungere e le relative modalità e tempistiche. Gli ambiti tecnologici coperti sono limitati e ciascun progetto finisce per seguire un iter a se stante. L’input alla realizzazione dei progetti  è spesso collegata all’emanazione di bandi di finanziamento ‘spot’. Spesso i fondi di finanziamento utilizzati sono pubblici anche perché risulta difficile attrarre finanziamenti privati per iniziative giudicate poco appetibili dai potenziali finanziatori.

L’analisi evidenzia come le città maggiormente evolute seguono generalmente un modello organico, segno dell’importanza del coinvolgimento di tutti gli attori e di una visione condivisa sin dalle prime fasi di sviluppo. Le città che mostrano un grado di smartness inferiore di solito adottano un modello additivo, che tra i principali limiti annovera uno scarso coinvolgimento di soggetti potenzialmente cruciali quali fornitori di tecnologie e servizi, utility e soggetti finanziatori.

I casi analizzati nel report mostrano che c’è un notevole divario ’smartness’  tra le città italiane e quelle europee. La ragione principale di questa distanza dipende dal fatto che le città italiane adottano prevalentemente il modello di sviluppo additivo, ulteriormente favorito da specifici fattori di contesto tipicamente italiani, quali la scarsa diffusione del PPP, l’elevata ‘burocratizzazione’ del nostro Paese e la ridotta capacità di spesa delle Pubbliche Amministrazioni.

Tali ritardi nel livello di smartness delle città italiane però possono essere anche letti come un enorme potenziale di investimento nel nostro Paese. Con riferimento alle prime 50 città italiane, il potenziale di mercato ‘teorico’ delle Smart City in Italia è pari a circa 65 miliardi di euro. L’effettiva concretizzazione di questo potenziale dipende però ancora una volta dal business model. L’evoluzione delle citta italiane verso il ‘paradigma’ Smart City è possibile soltanto se gli attori in gioco saranno in grado di sostenere gli orizzonti di investimento e la invasività di questi interventi.



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