L’economia circolare applicata all’agricoltura

Pubblicato il 5 ottobre 2015

Si è svolto ad Expo Milano 2015, presso il padiglione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il convegno “La circolarità del Mondo Agricolo. L’applicazione dei principi dell’economia circolare in agricoltura”, che ha visto un panel di esperti confrontarsi sulle prospettive offerte dall’economia circolare rispetto alla maggiore sfida che l’agricoltura dovrà affrontare nei prossimi anni: sfamare 10 miliardi di persone che abiteranno la Terra nel 2050 ma anche fornire acqua pulita e combustibili in grado di soddisfare i bisogno energetici della popolazione. L’agricoltura moderna applica i principi dell’economia lineare: prende, usa e getta. Ha bisogno dall’esterno di continui apporti di materie prime, che vanno esaurendosi, e produce rifiuti che non trovano corretta collocazione e finiscono per inquinare mari e fiumi. Un sistema agricolo così concepito non è sostenibile e pertanto destinato al collasso, specie sotto la crescente pressione demografica. Per sfamare quasi 10 miliardi di persone l’agricoltura dovrebbe essere in grado, in meno di 40 anni, di raddoppiare l’attuale produzione di soia e carne, e di incrementare di un terzo quella di cereali.

La fertilità del suolo
Il suolo è una risorsa fondamentale per l’uomo: il 99,7% del cibo che mangiamo proviene da suoli coltivati. Il suolo è un sistema estremamente complesso e la sua efficienza, e quindi la sua fertilità, dipende dalla presenza di due componenti poco conosciuti che si influenzano reciprocamente: la biodiversità e la sostanza organica.
Il suolo ospita circa un quarto della biodiversità del pianeta. Le diverse specie presenti formano una complessa rete alimentare, composta da microrganismi (batteri, funghi e protozoi), invertebrati (nematodi, lombrichi, termiti etc..), mammiferi e rettili (talpe e serpenti), nella quale ogni organismo ha un proprio ruolo ben definito ed insostituibile. Questa catena alimentare è fondamentale per l’umificazione del terreno, ovvero per quel processo che trasforma i residui vegetali ed animali che si accumulano sul suolo (la sostanza organica) in un composto organico stabile che arricchisce lo strato superficiale del terreno garantendone la fertilità. Il processo di umificazione è fondamentale, ma estremamente lento: un terreno fertile contiene uno strato di humus circa 20-30 cm, ma ci vogliono da uno a tre secoli per formarne 1 cm. Gli organismi che vivono nel suolo, ed in particolare i lombrichi, i vermi ed i piccoli roditori, grazie alla creazione di cunicoli e cavità, oltre a partecipare alla produzione di terreno fertile ne favoriscono il rimescolamento facilitando la diffusione al suo interno di gas ed acqua.
Il rapporto tra biodiversità e sostanza organica è mutualistico: la biodiversità del suolo è indispensabile per produrre suolo fertile, ma, se la sostanza organica scarseggia, la catena alimentare che se ne nutre si impoverisce ed il processo di umificazione può bloccarsi.
L’humus fissato nel suolo è anche un bacino di accumulo per il carbonio. Se questo viene consumato (ad esempio in conseguenza delle lavorazioni agricole intensive moderne) si trasforma in anidride carbonica che, rilasciata in atmosfera, contribuisce ad aumentare l’effetto serra. Questo fenomeno legato alla cattiva gestione del suolo costituisce un quarto dell’anidride carbonica globalmente emessa dalle attività dell’uomo. Nell’ultimo secolo abbiamo perso complessivamente il 60% della sostanza organica presente originariamente nel suolo e questo oltre a ridurne la fertilità ha contribuito all’incremento dei gas serra nell’atmosfera.
La perdita di sostanza organica dal terreno, tra gli altri effetti, comporta la perdita di struttura da parte del terreno e della sua capacità di trattenere l’acqua e gli elementi nutritivi. Non riuscendo a trattenere l’acqua, il terreno diventa così facile preda degli agenti fisici che ne causano l’erosione favorendo inondazioni e frane.

Gli elementi nutritivi necessari alle coltivazioni
Il secondo fattore indispensabile per la produzione agricola è la disponibilità di macro e microelementi, quali azoto, fosforo e potassio, ma anche ad esempio zinco, manganese, molibdeno, boro, indispensabili per la crescita delle piante.
Mentre in passato, prima dell’urbanizzazione, tali elementi venivano sottratti col raccolto, ma contestualmente restituiti al suolo utilizzando gli scarti derivanti dalle attività di trasformazione e consumo dei prodotti agricoli, oggi questi elementi vengono somministrati al suolo sotto forma di fertilizzanti di sintesi, prodotti utilizzando risorse non rinnovabili (ad es. le miniere di fosforo, zinco e manganese) e combustibili fossili (punto di partenza per la sintesi dei concimi azotati). Con particolare riferimento al fosforo, tra l’altro, non c’è alternativa all’estrazione da miniera, ovvero esso non è sostituibile né producibile per via chimica, e si stima che i giacimenti esistenti dureranno meno dei giacimenti petroliferi.
Le risorse di cui abbiamo bisogno per produrre i concimi con cui fertilizziamo i campi però non solo sono non rinnovabili e soggette ad esaurimento, ma detenute, per di più, da pochissimi Paesi extraeuropei tipicamente poco stabili dal punto di vista geopolitico. Le riserve di zinco e manganese sono detenute per più della metà da soli tre paesi non europei, che detengono tra l’altro anche più del 75% dei giacimenti di boro e molibdeno. L’Europa dispone di meno del 4% delle riserve di nutrienti mondiali. I principali detentori degli elementi nutritivi indispensabili per l’agricoltura sono Cina, Turchia, Argentina, Perù e Marocco.
Inoltre i fertilizzanti chimici, oltre ad essere destinati ad esaurirsi, non alimentano gli organismi responsabili della fertilità del suolo, ma forniscono elementi nutritivi, che il suolo, sempre più arido, riesce sempre meno a trattenere, contribuendo di conseguenza all’inquinamento delle falde. La fertilizzazione chimica, cioè, non riesce a tenere conto di tutte le complesse dinamiche in gioco per il mantenimento della fertilità del suolo e della sua componente umica.

La necessità di applicare all’agricoltura i principi dell’ economia circolare
Oggi pratichiamo un’agricoltura che applica i principi dell’economia lineare: prende, usa e getta. Un sistema agricolo così concepito non è sostenibile e pertanto è destinato al collasso, specie sotto la crescente pressione demografica mondiale. È necessario ripensare l’agricoltura, applicando i principi della cosiddetta economia circolare, già applicati ad altri ambiti produttivi.

Agricoltura circolare vuol dire recuperare le risorse ancora in circolo nel sistema anziché importarle dall’esterno. Le risorse residue a disposizione sono quelle che prima della rivoluzione industriale, e del conseguente fenomeno dell’urbanizzazione, venivano utilizzate nei piccoli nuclei rurali, come le vecchie cascine lombarde, per concimare i terreni: scarti derivanti dai mulini, dai caseifici, i reflui civili e il letame delle stalle, sostanze esclusivamente organiche derivanti dalle attività di trasformazione e consumo dei prodotti agricoli.
Per noi oggi i medesimi scarti sono solo dei rifiuti e costituiscono potenzialmente un problema ambientale: vanno infatti trattati per evitare che inquinino l’ambiente. Non recuperare questi substrati danneggia l’ambiente due volte: la prima perché per sostituirli usiamo materie prime non rinnovabili e la seconda perché dopo averli trattati li reimmettiamo comunque in ecosistemi nei quali naturalmente essi non finirebbero.
Il recupero di questi scarti per la concimazione dei suoli, tra l’altro, sopperisce ai limiti della fertilizzazione chimica in quanto restituisce al terreno anche sostanza organica che la biodiversità del suolo, trovate le condizioni ottimali, trasforma in humus.
Recuperare tali substrati in modo sicuro e controllato con l’ausilio delle nuove tecnologie onde evitare danni alla salute pubblica e all’ambiente crea quindi una agricoltura sostenibile che non ha bisogno di risorse naturali di origine esterna perché ricircola quelle disponibili all’origine e sfrutta tutte le sinergie positive messe a disposizione dalla natura per preservare la fertilità della terra.

La biodiversità visibile e la biodiversità “invisibile” del suolo
Un esempio di eccellenza di agricoltura circolare, la prima in tutta Europa, arriva dall’Italia: dal territorio neorurale della Cassinazza, situato tra le province di Pavia e Milano.
In pochi anni a La Cassinazza è stato osservato il proliferare, e il ritorno, di numerosissime specie di mammiferi, uccelli, insetti, farfalle. La biodiversità osservata è strettamente correlata alla cura per la biodiversità “invisibile”, cioè quella del suolo, che i conduttori hanno avuto in tutti questi anni attraverso i quali è stata posta particolare attenzione alle problematiche del mantenimento ed incremento della fertilità del terreno con apposite lavorazioni, rotazioni colturali ed avvicendamenti nella presenza delle colture.
L’apporto costante di sostanza organica sui suoli di Cassinazza ha creato le condizioni ottimali per il proliferare della catena alimentare presente nel terreno. La ricca biodiversità del suolo costituisce la base alimentare per la catena trofica di livello superiore: le numerose specie di uccelli e mammiferi che affascinano il visitatore sono attirate non solo dall’ambiente indisturbato, ma anche dalla possibilità di procurarsi il cibo presente in abbondanza.
È così che l’attenzione alla fertilità ed alla biodiversità “invisibile” crea l’equilibrio perfetto con la biodiversità visibile in un ambiente sano e un paesaggio piacevole per chi ne fruisce.
“Dal 1996 abbiamo intrapreso un percorso di rinaturalizzazione dell’azienda in linea con la Politica Agricola Comunitaria e finalizzata a ripristinare la giusta sintonia con gli elementi naturali e territoriali persi con la industrializzazione dell’attività agricola, introducendo correzioni che hanno permesso di massimizzare l’uso produttivo del territorio rendendolo compatibile con la maggiore biodiversità possibile” ha spiegato Francesco Natta, Amministratore Delegato di Acqua&Sole srl. “Restituire al terreno il suo ciclo naturale, ovvero ripristinare la fertilità dei terreni agricoli attraverso il recupero degli elementi nutritivi asportati dai raccolti e scartati nelle successive fasi di utilizzo ci ha resi autonomi da un punto di vista degli elementi nutritivi, riducendo l’inquinamento da nitrati e fosfati con effetti positivi sull’economicità del progetto”.
I numeri del lavoro pioneristico fatto alla Cassinazza parlano da soli: in quasi un ventennio sono aumentate del 170% le specie di uccelli presenti, del 146% le specie di libellule, del 105% le specie di farfalle diurne, dell’81% le specie di mammiferi e dell’80% le specie di cavallette. Il tutto si traduce in una fertilità del suolo incrementata, oltre alle migliorate caratteristiche del paesaggio, visibili a tutti.



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