La chimica contro il riscaldamento globale
Il perseguimento di un’efficace politica dei cambiamenti climatici non può non tener conto del ruolo virtuoso dell’industria chimica e dei suoi prodotti: messaggio preciso che il settore rivolge alla Ue in vista dell’imminente conferenza internazionale di Copenaghen sul clima, organizzata dall’Onu.
Dal 1990 (anno di riferimento del Protocollo di Kyoto) al 2007, a fronte di un aumento della produzione di quasi il 10%, l’industria chimica ha ridotto le emissioni di gas serra in atmosfera del 50,3%, pari a circa 14,5 milioni di tonnellate, che rappresentano oltre il 43% dell’obbiettivo richiesto all’Italia dal protocollo di Kyoto.
È quanto emerge dal Rapporto Responsible Care, il programma volontario dell’industria chimica a favore dello sviluppo sostenibile, giunto alla sua 15esima edizione e presentato da Federchimica. Il Rapporto stima che per ogni tonnellata di CO2 emessa dall’industria chimica, i settori a valle che utilizzano prodotti chimici possono risparmiare fino a 3 tonnellate di emissioni.
L’Italia, che nel 2007 ha emesso quasi 553 milioni di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera, avrebbe emesso 42 milioni di tonnellate in più senza l’utilizzo dei prodotti dell’industria chimica. Una cifra notevole sia per l’ambiente sia per le casse dello Stato: applicando il prezzo medio attuale della CO2, ossia circa 14 euro per ogni tonnellata, si ottiene un risparmio quantificabile in circa 600 milioni di euro l’anno fino al 2012.
L’industria chimica si è impegnata nell’ecosostenibilità, fornendo strumenti per affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Eppure continua l’ostilità verso i prodotti chimici, anche negli ‘acquisti verdi’ da parte delle Amministrazioni Pubbliche, che spesso identificano ciò che è ‘naturale’ o ‘biologico’ come meno impattante su ambiente e società. Questo non è sempre vero. Gli strumenti individuati dalla politica dell’Ue su produzione e consumo sostenibile (acquisti pubblici verdi e Ecolabel) sono importanti per la sostenibilità e nella spinta verso l’innovazione. Ma i criteri per la loro attuazione devono essere individuati con metodologie scientifiche basate sull’analisi del ciclo di vita del prodotto e non sulla considerazione emotiva che ciò che è “chimico” non può essere in armonia con l’ambiente.
Il timore di Federchimica è che il costo delle misure necessarie per raggiungere gli obiettivi di politica climatica possa ampliare il già consistente gap competitivo dell’Italia nei confronti degli altri Paesi dovuti ai maggiori costi dell’energia. Tale situazione sarebbe ulteriormente peggiorata da un eventuale aumento degli impegni europei nella trattativa internazionale per il post Kyoto, ad esempio se fosse innalzato l’obiettivo di riduzione delle emissioni dal -20 al -30% nel 2020 rispetto al 1990.
Federchimica: www.federchimica.it
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