Il compostaggio per uno sviluppo sostenibile.
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Desertificazione e riduzione delle emissioni clima-alteranti: il ruolo del compostaggio
Una gestione dei rifiuti corretta ed efficace deve essere inquadrata in uno scenario più ampio di sostenibilità ambientale, in termini di conservazione delle risorse e riduzione degli impatti globali. Va ricordato che le specifiche condizioni atmosferiche e le tipologie di coltivazioni adottate nel nostro Paese determinano un’ingente richiesta di humus: climi caldi e secchi, coltivazioni ad alto consumo di sostanza organica (per esempio orticoltura o frutticoltura), nonché l’uso massiccio di concimi organici a base di azoto, fosforo e potassio hanno favorito il progressivo depauperamento della sostanza organica nel suolo (meno di 1,5%), con un processo di rapida mineralizzazione che ha portato molte aree italiane a rischio desertificazione, e non soltanto nel sud a causa della siccità e del massiccio disboscamento, ma anche nella Val Padana per l’eccessivo sfruttamento agricolo e zootecnico. Secondo recenti dati, il 27% del territorio italiano è esposto ad un elevato rischio di erosione (che è uno dei sintomi più significativi della desertificazione) e il 69% è a rischio lieve-moderato. Altri dati indicano che il 5,5% del nostro territorio è soggetto al processo di desertificazione ed il 22% è a rischio. Questo scenario conduce ad una situazione favorevole per la promozione dell’uso del compost quale di sostanza organica. Con un impiego programmato e mirato alle specifiche esigenze, il compost potrebbe rappresentare lo strumento adatto per ripristinare la fertilità dei suoli, anche in situazioni di avanzata desertificazione.
L’eliminazione dello smaltimento in discarica della frazione organica dei rifiuti e una sua trasformazione biologica in compost di qualità da avviare ad uso agronomico si inserisce anche tra gli interventi volti a ridurre l’effetto serra. Se, infatti, è vero che il principale gas clima-alterante è il biossido di carbonio, le cui emissioni derivano in massima parte dalla combustione delle fonti primarie di energia fossile, ma anche per un 16% dall’agricoltura, è pur vero che anche il metano contribuisce all’effetto serra. A questo riguardo è proprio il settore del trattamento dei rifiuti a pesare maggiormente in termini di emissioni: nel 1997 per il 44% dovuto soprattutto alle discariche (a livello europeo il 32% delle emissioni globali di metano) e al trattamento dei fanghi di depurazione. La frazione organica, se allocata in discarica, è la maggior responsabile delle emissioni di biogas, ed è questo un ulteriore motivo per ridurne drasticamente lo smaltimento in discarica.
Il settore agricolo è, come accennato, caratterizzato da una notevole emissione di CO2: l’eccessiva lavorazione agricola determina, attraverso un consumo elevato di sostanza umificata del suolo, uno squilibrio fra carbonio perso e mantenuto nei suoli. È quindi necessario stabilizzare il carbonio organico nei suoli, limitando la mineralizzazione e le conseguenti massicce emissioni di CO2. In questo conteso il compost, essendo materiale umificato, esercita un’azione di sequestro del carbonio organico biodecomponibile (la frazione organica del suolo è una forma di carbonio a lento rilascio, con tempo di residenza variabile da molte centinaia a qualche migliaio di anni). È stato calcolato che l’aumento dello 0,15% di carbonio organico nei suoli arabili in Italia (0,26% di sostanza organica) equivale a fissare la quantità di CO2 corrispondente alle emissioni complessive di un anno dell’intera nazione derivanti dall’uso di combustibili fossili (440.000.000 di tonnellate nel ‘99). Il compostaggio è quindi un efficace mezzo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di fissazione del carbonio in forma di sostanze umiche che, concorrendo al ripristino della fertilità dei suoli, permettono l’assimilazione di ulteriore CO2 attraverso l’incremento della produzione vegetale.
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