Idrogeno, il paradosso dell’Italia: tecnologia avanzata, ma pochi progetti attivi
L’Italia deve cogliere l’occasione rappresentata dall’idrogeno non solo per ridisegnare lo scenario energetico futuro e accelerare la transizione ecologica, ma anche per sfruttare importanti opportunità di sviluppo industriale. Grazie alla sua versatilità, l’idrogeno svolge un ruolo chiave nella decarbonizzazione dei settori dove è più complesso ridurre le emissioni (“Hard to Abate”), come i trasporti pesanti e l’industria, dove l’elettrificazione non è un’opzione praticabile e i benefici legati allo sviluppo della filiera dell’idrogeno sono evidenti non solo da un punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale. Su scala globale, l’idrogeno contribuirà per l’11% al raggiungimento delle emissioni zero, mentre a livello italiano ed europeo l’idrogeno ha un potenziale di penetrazione superiore al 25% al 2025.
In Italia, la filiera dell’idrogeno consentirebbe di ridurre le emissioni di CO2 del 28% entro il 2050 e di generare un valore cumulato della produzione compreso tra 890 e 1.500 miliardi di euro e tra 320.000 e 540.000 nuovi posti di lavoro. Ad oggi, l’Italia è ai primi posti in ambito europeo nella produzione di tecnologie convertibili all’idrogeno nel settore termico e meccanico, ma presenta ridotte iniziative per la produzione nazionale e sviluppa pochi progetti, appena 13. Un ritardo che le risorse del PNRR – 3,19 miliardi stanziati per l’idrogeno – potrebbero contribuire a colmare, ma il Piano presenta alcune criticità legate alle tempistiche allo sbilanciamento verso gli investimenti Capex, non in grado di favorire la nascita di un equilibrio tra consumo e produzione. Emerge, quindi, la necessità di un cambio di passo per sviluppare una strategia a lungo termine chiara e ben definita.
È quanto sottolinea l’analisi realizzata dalla Community Idrogeno di The European House – Ambrosetti, nata all’interno della InnoTech Community proprio con l’obiettivo di favorire un dialogo proattivo tra aziende, filiere e istituzioni e di facilitare lo sviluppo e l’implementazione di progetti, investimenti industriali e riforme in grado di traghettare l’Italia nel processo di decarbonizzazione, ponendola in una posizione primaria a livello europeo. A supportare il lavoro della Community numerosi partner quali Eni, Landi Renzo, Iveco, Impresa Pizzarotti, Pirelli, Arriva Italia, Hydac, Sasol, Sonatrach, Lendlease, Trentino Sviluppo, Agrati e Smart Industry. Questa analisi è la prima tappa di un percorso che porterà al Forum Idrogeno in autunno, l’appuntamento finale nel corso del quale verrà presentato un Libro Bianco con i risultati dei primi mesi di lavoro della Community.
“È fondamentale che l’Italia faccia dell’idrogeno un volano di sostenibilità e competitività economica per porre le basi di una leadership industriale a livello globale che sia anche in linea con gli obiettivi di sostenibilità ambientale”, ha dichiarato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. “Perché ciò avvenga, è necessaria una strategia nazionale dell’idrogeno con una duplice impostazione: deve basarsi sulle caratteristiche industriali in modo da promuovere l’utilizzo di idrogeno nei settori prioritari – come il petrolchimico e il trasporto pesante – e favorire opportunità per la riconversione industriale di intere filiere legate alla produzione di tecnologie per combustibili tradizionali. L’Italia può già contare su competenze e specificità industriali in materia di tecnologie termiche e meccaniche, che sono rispettivamente al primo e secondo posto in UE27 per valore aggiunto. Ma ciò che serve nell’immediato futuro è definire una visione di policy a lungo termine che coniughi la visione industriale con gli obiettivi di sostenibilità secondo un principio di neutralità tecnologica. Il ruolo guida deve essere affidato a un apparato di governance che collabori con le istituzioni italiane del settore per la realizzazione, il monitoraggio e l’aggiornamento della strategia nazionale dell’idrogeno. Il lavoro della Community Idrogeno di The European House – Ambrosetti si inserisce in questo solco e vuole supportare aziende e istituzioni nel creare le premesse per progettualità di ampio respiro”.
The European House – Ambrosetti ha mappato nel dettaglio la catena del valore dell’idrogeno in Italia, individuando 90 tecnologie che potrebbero generare nel 2050 un valore aggiunto annuo compreso tra i 22,6 e 101,4 miliardi di euro. Non solo: il Paese rappresenta già un esempio di eccellenza su scala europea collocandosi al 1° posto tra i produttori industriali in Europa in campo termico, con una quota di mercato del 24,4% e con un valore della produzione pari a 6,9 miliardi di euro, e al 2° posto in area UE come produttore industriale nelle tecnologie meccaniche, registrando un valore della produzione pari a 4,6 miliardi di euro. Lo scenario auspicabile è che l’Italia investa sulla filiera dell’idrogeno anche nel settore dell’elettrico dove, con una quota di mercato dell’8,1%, è molto lontana dai risultati ottenuti in Germania (42,3%) e in Francia (14,8%), e nel campo dei sistemi di controllo dove la quota di mercato è ancora più bassa (6,7%).
L’Italia possiede quindi competenze distintive nella produzione di tecnologie specifiche correlate all’uso dell’idrogeno, ma i progetti avviati sono minori rispetto ad altri paesi UE e su scala ridotta: solo 13, contro i 46 della Germania e i 33 di Spagna e Paesi Bassi.
In Italia, l’unico meccanismo di sostegno pubblico per il potenziamento della tecnologia per la produzione e la distribuzione dell’idrogeno è il PNRR, che ha stanziato 3,19 miliardi di euro per la produzione di idrogeno in siti dismessi (le “Hydrogen Valley”, 500 milioni), l’utilizzo dell’idrogeno in settori Hard to Abate (2 miliardi), la sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto stradale (230 milioni) e ferroviario (30 milioni) e per la ricerca e sviluppo sull’idrogeno (160 milioni). Queste risorse non sono però sufficienti a sviluppare efficacemente la filiera dell’idrogeno, specialmente se paragonate con quanto fatto in altri contesti. In particolare, per l’intera UE, c’è un elevato rischio che gli investimenti internazionali vengano assorbiti dagli Stati Uniti, alla luce dei più importanti (e semplici) fondi previsti dall’Inflation Reduction Act (2022), rivolti agli utilizzatori nella forma di tax credit per kg di idrogeno decarbonizzato prodotto (non necessariamente verde).
Tra le criticità che potrebbero limitare molto le potenzialità degli investimenti tecnologici emerge ad esempio, in riferimento alle hydrogen valley, il tema delle tempistiche ristrette che intercorrono tra la data di pubblicazione dei bandi e quella della scadenza delle presentazioni delle offerte, che limitano la capacità degli operatori economici coinvolti di organizzarsi e stipulare accordi. Ulteriore risvolto negativo è che non si riesca ad aggiudicare tutti gli appalti previsti dal cronoprogramma del PNRR per completare la milestone e, di conseguenza, ad assegnare le risorse per gli interventi preventivati. Inoltre, tutti gli stanziamenti pubblici, in particolar modo quelli mirati alla misura Hard to Abate, si concentrano prevalentemente sugli investimenti iniziali (capex), tralasciando l’importanza di investire sulle spese operative (opex) che potrebbero garantire la riduzione del divario con le alternative a combustibile fossile. L’indicazione raccolta presso i player industriali di riferimento è di avere una ripartizione 20% capex – 80% opex.
Per centrare gli obiettivi legati alla produzione di idrogeno è necessario servirsi di ogni tipo di tecnologia utile allo scopo, almeno nel medio periodo. La strategia UE è completamente incentrata sull’idrogeno verde (ottenuto tramite elettrolisi da fonte rinnovabile) e, con il Piano REPowerEU, è prevista una produzione di 10 milioni di tonnellate in area UE entro il 2023. Questo quantitativo è inferiore all’attuale produzione di idrogeno di 11,5 milioni di tonnellate, di cui il 97% proviene da fonti fossili (11,2 milioni di tonnellate), potenzialmente decarbonizzabile attraverso tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 (idrogeno blu o low carbon).
Considerando gli attuali costi di produzione elevati (il low carbon è più conveniente dell’idrogeno verde del 47%-51%), i vincoli normativi che rischiano di spostare i progetti verso Paesi più flessibili e attrattivi, nonché i livelli di produzione contenuti (0,87% del totale idrogeno prodotto in UE27 nel 2020), sarà dunque fondamentale avere una visione strategica e unitaria per raggiungere i target di produzione e importazione prefissati.
A fronte dell’analisi effettuata nel contesto italiano ed europeo, la Community Idrogeno di The European House – Ambrosetti propone alcune policy che potrebbero essere utilizzate come base di partenza per lo sviluppo di una strategia nazionale dell’idrogeno che sia allo stesso tempo motore di competitività e sostenibilità.
Innanzitutto, occorre definire una chiara strategia nazionale che coniughi la visione industriale con gli obiettivi di sostenibilità, attraverso un dialogo proattivo tra i principali stakeholder. Per questo potrebbe essere necessario istituire un apparato di governance per la realizzazione, il monitoraggio e l’aggiornamento della strategia nazionale dell’idrogeno in accordo con le principali istituzioni del settore e, all’interno di esso, un gruppo di advisor indipendenti, sulla scorta del modello tedesco, e una figura di raccordo seguendo l’esempio dell’Hydrogen Champion nel Regno Unito.
Fondamentale sarebbe poi creare un apparato di policy a lungo termine e ben delineato al fine di attrarre investimenti. In tal senso, per quanto riguarda la visione industriale italiana, serve procedere lungo due direttrici: riconversione delle tecnologie di oil&gas verso l’idrogeno e aumento della competitività di prodotti sostenibili nei settori Hard to Abate.
Infine, la Community Idrogeno sostiene la necessità dell’Italia di farsi portavoce del principio di neutralità tecnologica nell’UE, in modo da poter sfruttare l’idrogeno low carbon nel breve periodo nel processo di transizione all’idrogeno verde, nonché avviare lo sviluppo delle infrastrutture per trasformare l’Italia in un “Hub europeo” di importazione di idrogeno dall’Africa e dal Medio Oriente.
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