Boro-Alluminio-Gallio-Indio-Tallio, così si imparava a recitare i nomi degli elementi del terzo gruppo; il boro e l’alluminio si sapeva che cosa erano, ma quell’indio, dal nome fascinoso, ben pochi conoscevano. L’indio era stato scoperto nel 1863 da Ferdinand Reich (1799-1882) e Theodor Richter (1824-1898) che lo avevano chiamato così perché emetteva radiazioni con una riga blu del colore dell’indaco; si presenta come metallo lucido, grigio argenteo, tenero ed è rimasto una curiosità per molti decenni.
Nel 1926, l’anno in cui sono nato io, ne esisteva nel mondo un solo grammo, estratto dalle scorie della lavorazione dei minerali di zinco; la richiesta di indio aumentò durante la seconda guerra mondiale (1939-1945) quando fu scoperto che questo metallo duttile si prestava bene come lubrificante delle bronzine dei motori da aerei veloci. La sua produzione aumentò lentamente fino a poche tonnellate all’anno, assorbite dall’industria elettrica e nucleare, fino a quando ne fu scoperto l’uso in apparecchiature elettroniche e ne furono riconosciute le proprietà di semiconduttore. Celle fotovoltaiche solari sono costruite con fosfuro e arseniuro di indio e gallio.
Ma l’esplosione dell’uso dell’indio, soprattutto sotto forma di ossido di indio e stagno, si ebbe con l’invenzione degli schermi a cristalli liquidi per televisori e per computer. L’indio viene ottenuto industrialmente per trattamento dei sottoprodotti della lavorazione dello zinco (un esempio di recupero di prodotti utili dai rifiuti) e per riciclaggio dei suoi residui e la sua produzione è passata da 60 tonnellate all’anno nel 1950 alle attuali 550 tonnellate all’anno. Il principale paese produttore di indio è, come al solito, la Cina (330 t/anno), seguita da Giappone, Canada e Corea. Il mercato dell’indio è turbolento, come quello dei metalli e delle merci strategiche, le “commodity”. Il suo prezzo era di 100 dollari al chilo nel 2002 e di 1000 dollari al chilo nel 2007; nell’estate 2009 era sceso a 300 dollari al chilo per risalire, alla fine del in 2009 a 450 dollari al chilo.(circa 300 euro/kg). E salire ancora, nel settembre 2010, a 560 dollari/kg (circa 430 euro/kg).
Questa turbolenza è dovuta al costo di produzione, alla paura che la disponibilità futura di indio sia limitata (alcuni parlano di riserve per pochi anni) rispetto alle richieste del mercato dell’elettronica di largo consumo, ma anche al fatto che altri metalli potrebbero sostituirlo in molte applicazioni: l’afnio nelle barre di controllo dei reattori nucleari, l’arseniuro di gallio nelle celle solari. Abbastanza curiosamente una piccola produzione di indio si è avuta in Italia nella raffineria di zinco di Crotone, quella le cui scorie tossiche sono sepolte nel sottosuolo di scuole e strade della città calabrese. Nel 1990 la società Pertusola di Crotone ha prodotto 11 tonnellate di indio, nel 1992 20 tonnellate, dal 1995 la produzione è cessata e lo stabilimento è stato chiuso, proprio nel momento in cui aumentava la richiesta di questo metallo. Un altro caso di previsioni chimiche e merceologiche sbagliate.
Giorgio Nebbia