ELEMENTI – Idrogeno
Nell’Anno Internazionale della Chimica, continuiamo il nostro itinerario alla scoperta degli ‘abitanti’ della Tavola Periodica incontrando l'elemento più piccolo, il cui nome in greco significa generatore d'acqua
Nella città degli elementi chimici l’idrogeno è così pieno di superbia che abita in un villino per conto suo al numero 1, all’ingresso delle strade principali. Ha peso atomico uno e convive con due fratelli, aventi peso atomico 2, il deuterio, e 3, il trizio. L’idrogeno rappresenta circa il 70% di tutta la materia esistente nell’universo; era abbondante anche sulla Terra, naturalmente, 40 milioni di secoli fa, da solo o combinato con l’azoto sotto forma di ammoniaca H3N, con il carbonio sotto forma di metano H4C, o con l’ossigeno sotto forma di acqua H2O.
Dal momento che era il gas più leggero, a poco a poco come tale si è perso negli spazi interplanetari ed è stato spiazzato dall’ossigeno; i suoi composti se ne sono liberati trasformandosi in azoto gassoso, in ossido di carbonio e anidride carbonica e l’idrogeno è rimasto combinato nell’acqua e ha comunque continuato a dominare gli eventi terrestri.
L’idrogeno reagendo con altro ossigeno ha generato enormi quantità di acqua, liquida e vapore in un lungo gran diluvio; nel frattempo si è andato combinando con il carbonio, l’ossigeno e l’azoto formando carboidrati, grassi e proteine, le pietre costitutive della vita che senza idrogeno non potrebbe esistere; per questo si dà tante arie. Di idrogeno ci sono riserve enormi sul pianeta: l’acqua ne contiene l’11%; i prodotti petroliferi (benzina, gasolio, eccetera) ne contengono dal 10 al 15%; il metano (il principale costituente del gas naturale) ne contiene il 25%.
L’idrogeno gassoso cominciò a essere prodotto artificialmente già agli inizi del 16° secolo trattando i metalli con acidi forti. Henry Cavendish (1731-1810) è stato il primo a riconoscere che l’idrogeno era una sostanza unica e che, bruciando, produce acqua, una proprietà per la quale gli è stato dato il nome che in greco significa, appunto, generatore di acqua. Oggi l’idrogeno si ottiene, insieme all’ossido di carbonio, trattando il carbone ad alta temperatura con vapore d’acqua, o, più comunemente, per elettrolisi dell’acqua o di soluzioni saline (è un sottoprodotto dell’industria della soda caustica).
Nel combinarsi con l’ossigeno, l’idrogeno libera grandi quantità di calore, a parità di peso tre o quattro volte più del carbone o del petrolio e ci sono molti che pensano di poterlo utilizzare come combustibile nelle centrali e negli autoveicoli. È certo possibile e ci sono automobili che funzionano bruciando idrogeno anche se è scomodo e pericoloso da trattare e deve essere tenuto in pesanti serbatoi sotto pressione che dovrebbero essere caricati sugli autoveicoli e sui treni; meglio sarebbe usare l’idrogeno per ottenere, con le “celle a combustibile”, direttamente elettricità per azionare i veicoli.
Purtroppo se si vuole usare idrogeno al posto della benzina bisogna tenere conto che l’idrogeno deve essere estratto dall’acqua mediante elettrolisi, o dagli idrocarburi portando via carbonio, con conseguente consumo di energia, anzi per ottenerlo ci vuole più energia di quella che l’idrogeno fornisce bruciando in un motore a scoppio. Una ”società dell’idrogeno” si potrebbe realizzare soltanto ricorrendo a fonti di elettricità rinnovabili, cioè all’energia idroelettrica, e a quella che si può ottenere dal Sole e dal vento, trasportata agli impianti di elettrolisi.
L’idrogeno ha molti usi industriali; è stato usato per alcuni anni per il riempimento dei dirigibili, fino al disastro del dirigibile Hindenburg che, nel 1937, esplose per l’incendio dell’idrogeno; oggi nei dirigibili al posto dell’idrogeno viene usato elio.
Il simbolo dell’idrogeno è “acca”, un nome purtroppo associato anche alle più terribili bombe nucleari, quelle termonucleari, che liberano grandissime quantità di energia esplosiva e devastante con una reazione basata sulla “fusione” di due nuclei di deuterio, l’isotopo 2 dell’idrogeno, la stessa reazione che avviene all’interno del Sole a qualche milione di gradi di temperatura.
Giorgio Nebbia
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