Prevenire la produzione di rifiuti è
attualmente l’obiettivo primario che le più
avvedute strategie di gestione dei rifiuti
adottate a livello nazionale o sovranazionale
si propongono di perseguire in un’ottica di
sviluppo sostenibile [3, 7, 10]. Ancor prima
del riciclaggio, essa rappresenta infatti la
via più diretta verso il risparmio e l’utilizzo
efficiente delle risorse naturali, requisiti
essenziali per uno sviluppo sostenibile [4].
A livello europeo, il ruolo della prevenzione
dei rifiuti è stato particolarmente rafforzato
nell’ambito dell’ultima Direttiva Quadro sui
Rifiuti (2008/98/CE), la quale innanzitutto
conferma che la gestione degli stessi deve
avvenire conformemente a quell’approccio
gerarchico (denominato gerarchia dei rifiuti)
che, sin dal 1989, è alla base della strategia
comunitaria in materia, e che pone come
obiettivo primario proprio la prevenzione
dei rifiuti (art. 4). A questa seguono poi,
nell’ordine, preparazione per il riutilizzo,
riciclaggio, recupero di altro tipo (ad esempio
di energia) e smaltimento.
Prima ancora di procedere ad una gestione
ambientalmente ed economicamente valida
dei rifiuti prodotti, è quindi richiesto di ridurne
al minimo il quantitativo (e la pericolosità),
adottando opportune misure di prevenzione.
Secondo la direttiva (art. 3), infatti, la
prevenzione dei rifiuti comprende tutte quelle
misure prese prima che una sostanza, un
materiale o un prodotto sia diventato rifiuto,
che riducono: (a) la quantità dei rifiuti,
anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o
l’estensione del ciclo di vita; (b) gli impatti
negativi dei rifiuti prodotti sull’ambiente e
la salute umana; oppure (c) il contenuto di
sostanze pericolose in materiali e prodotti.
Sono quindi considerate misure di
prevenzione unicamente quelle prese prima
che un bene diventi un rifiuto, e non tutte
quelle misure finalizzate a minimizzare il
quantitativo di rifiuti da smaltire in discarica,
come talvolta erroneamente si ritiene.
Queste ultime comprendono infatti, oltre a
quelle di prevenzione, anche le operazioni di
riciclaggio e recupero energetico, e vengono
generalmente definite come misure di
minimizzazione dei rifiuti [9].
La direttiva non si limita però a ribadire
il ruolo primario della prevenzione dei
rifiuti, ma introduce anche l’obbligo, per
ciascun Stato membro, di adottare un
programma nazionale di prevenzione dei
rifiuti, non più tardi del 12 dicembre 2013
(
art. 29). Tali programmi devono fissare
gli obiettivi di prevenzione e individuare le
misure di prevenzione più idonee per il loro
raggiungimento. Loro scopo non è tuttavia
la semplice riduzione del quantitativo e/o
della pericolosità dei rifiuti prodotti, ma la
dissociazione (o disaccoppiamento) della
crescita economica dagli impatti ambientali
connessi alla produzione dei rifiuti.
La Commissione europea ha, infine, ritenuto
opportuno non introdurre per il momento
nella direttiva alcun valore soglia al di sotto
del quale ridurre la produzione dei rifiuti, ma
si è impegnata a definire, entro la fine del
2014,
gli obiettivi in materia di prevenzione
dei rifiuti e di dissociazione per il 2020, sulla
base delle migliori pratiche disponibili (art.
9).
A livello nazionale, i principi e le richieste
della direttiva sono stati fedelmente recepiti
dal DLgs 205/2010, che modifica ed integra
buona parte delle disposizioni della parte
quarta del DLgs 152/2006, che già regolava
la gestione dei rifiuti. Inoltre, in modo alquanto
inatteso, con la conversione in legge del DL
2/2012 (
Legge n. 28/2012) recante misure
straordinarie e urgenti in materia ambientale,
il Ministero dell’ambiente si è impegnato
ad anticipare l’adozione del programma
nazionale di prevenzione dei rifiuti al 31
dicembre 2012.
Iniziative per la prevenzione
dei rifiuti urbani
Nel quadro normativo così delineato,
numerose sono le iniziative intraprese fino
ad ora, in ambito nazionale ed europeo,
da parte delle autorità pubbliche locali e
regionali al fine di ridurre la produzione di
rifiuti, specialmente urbani. In particolare,
se in alcuni casi queste si ‘limitano’ ad
essere campagne di sensibilizzazione a
favore della riduzione degli sprechi di alcune
tipologie di beni (quali i prodotti alimentari),
o volte a promuovere l’acquisto di prodotti
che minimizzano l’impiego di imballaggi
e il riutilizzo degli stessi, in altri si tratta
di iniziative più complesse che cercano
di coinvolgere i produttori e la grande
distribuzione organizzata per offrire ai
cittadini possibilità di consumo alternative,
che comportano una minore produzione di
rifiuti. Cittadini che, in entrambi i casi, sono
chiamati ad essere protagonisti, adottando
i comportamenti virtuosi che tali iniziative
promuovono o consentono di praticare
concretamente. È proprio ispirandosi a
queste iniziative che alcune regioni italiane
hanno già provveduto a dotarsi di un piano o
programma di prevenzione dei rifiuti urbani,
autonomo (come, ad esempio, nel caso
di Lombardia, Sardegna, Valle d’Aosta) o
integrato nel piano regionale di gestione dei
rifiuti urbani (come, ad esempio, il Piemonte).
Una significativa rassegna di iniziative per la
prevenzione dei rifiuti urbani è stata invece
effettuata da parte di Federambiente [6] per
il contesto Italiano e da ACR+ (Association
of Cities and Regions for Recycling and
Sustainable Resource Mangement) per quello
europeo [1].
Tra le pratiche più significative attuabili per
ridurre la produzione dei rifiuti di imballaggio
si segnalano, a titolo di esempio:
-
l’utilizzo dell’acqua di rete dal rubinetto
o da fontanelli pubblici in luogo di quella
confezionata;
-
l’acquisto di detersivi liquidi alla spina in
flaconi riutilizzabili e di prodotti alimentari in
maniera sfusa quali pasta, riso e cereali da
colazione;
-
l’acquisto di acqua e bevande in genere
Figura 1 - Indicatore di riscaldamento globale calcolato per ciascuno scenario analizzato (barre colorate)
e rispettivi limiti inferiore e superiore (estremità delle barre di errore) risultanti dall’analisi di sensitività
condotta nello studio (non descritta). Si noti che l’area punteggiata della barra relativa allo scenario che
prevede l’utilizzo di acqua di rete di origine superficiale da fontanelli pubblici specifica il contributo fornito
dall’utilizzo di un’auto da parte del consumatore per prelevare l’acqua al fonatanello (distanza complessiva
di 5,5 km).
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n.8 novembre 2012
RIFIUTI
RASSEGNA