IMPRONTE
dei fiumi intraprese da Roosevelt a partire
dal 1933, dopo la sua elezione a presidente
degli Stati Uniti, quella del 1993 e quella
drammatica del 2005, conseguente l’uragano
Katrina, in cui insieme la crescente portata
del fiume Mississippi e la difficoltà del fluire
delle acque nell’oceano portarono ad allagare
i quartieri di New Orleans che erano stati
imprudentemente costruiti nelle paludi a un
livello inferiore a quello del corso che il fiume
aveva assunto in seguito all’apporto solido
nel corso dei decenni.
Qualche ‘ricetta’ per far fronte al problema
Questa breve rassegna delle alluvioni
suggerisce alcune considerazioni; la prima
è che l’espansione delle acque di piena al di
fuori degli spazi che ogni fiume occupa nei
periodi di magra è un fenomeno naturale che
sempre si è verificato e sempre si verificherà,
talvolta con effetti benefici, come quando il
limo trasportato dal fiume in piena ha creato
terre fertili: è il caso del delta del Nilo e della
stessa pianura padana.
Le alluvioni sono facilitate dalla natura
geologica del suolo a monte, ma sono
dovute soprattutto agli interventi umani:
il diboscamento e la distruzione della
copertura vegetale e qualsiasi intervento che
accelera il flusso delle acque a valle o che
lascia crescenti superfici del suolo esposte
all’erosione. Contribuiscono, inoltre, gli
interventi “economici” in prossimità del corso
di fiumi e torrenti.
Tali zone sono le più appetibili per
insediamenti umani urbani e turistici e per
le strade e ciascun intervento fa diminuire
lo spazio di scorrimento delle acque e fa
aumentare la probabilità di esondazione delle
acque di piena. Identificati cause ed effetti,
viene da chiedersi che cosa si può fare per
diminuire i danni e i costi, monetari, di dolori,
di vite umane, delle alluvioni.
La più comoda soluzione è quella di costruire
degli argini artificiali tali da tenere, al di sopra
delle opere e presenze umane, il massimo
livello che presumibilmente sarà raggiunto
dalle acque di piena.
Purtroppo questa tecnica non fa altro che
accelerare il moto e aumentare la forza
erosiva delle acque e spostare a valle
l’aumento di probabilità delle alluvioni, un
trasferimento dei potenziali danni ambientali
da un posto all’altro. Esiste una nuova teoria
di cura ambientale che va sotto il nome di
resilienza, la capacità di far fronte agli eventi
ambientali negativi cercando non di prevederli
e di prevenirli ed evitarli, ma di rimediarvi
con accorgimenti tecnici: costruire argini o
sollevare gli edifici a rischio. In questo modo
si ottengono vantaggi economici senza dover
ricorrere all’altra ricetta, sgradevolissima,
che consisterebbe nel decidere di non fare le
opere o gli interventi nelle zone interessate al
degrado del suolo.
Una ricetta sana sarebbe la ricostruzione
della copertura vegetale con grandi opere
di rimboschimento e di pulizia dell’alveo di
fossi, fiumi e torrenti in modo da eliminare
gli ostacoli al flusso delle acque e da evitare
flussi impetuosi e improvvisi.
Per passare dalla costruzione di argini
o interventi di resilienza all’imposizione
di vincoli agli imprudenti e imprevidenti
interventi umani bisognerebbe dar retta
all’avvertimento espresso dal naturalista e
filosofo inglese Bacone tre secoli fa: “Alla
natura si comanda se le si ubbidisce”.