BioEnergy Italy: tra bilanci presenti e idee per il futuro
Al BioEnergy Italy (Cremona Fiere, 5-7 marzo) si è parlato di: biometano, biogas a ultrasuoni, bioplastiche, energy manager, energia dagli scarti dell’industria alimentare e giornata mondiale del mais.
Come ottenere un vasetto di plastica per yogurt da 2 litri di siero di latte, il biogas a ultrasuoni, la nuova figura dell’energy manager nell’azienda agricola, il biometano, la giornata mondiale del mais. Di questi argomenti si è parlato alla quarta edizione di BioEnergy Italy (CremonaFiere, 5-7 marzo), il più importante salone delle tecnologie per le biomasse e le rinnovabili in agricoltura.
Forte di quasi 10.000 visitatori della passata edizione, all’appuntamento di quest’anno sono presenti 97 espositori in rappresentanza di 5 Paesi (Italia, Germania, Austria, Olanda, Danimarca) e 10 delegazioni provenienti da altri Paesi esteri (Bulgaria, Danimarca, Spagna, Russia, Croazia, Polonia, Turchia, Ungheria, Kazakistan, Ucraina). Il programma, ricco di convegni, seminari e workshop, è stato definito da CremonaFiere con la collaborazione di importanti realtà tra cui Enea, Legambiente, AssoEsco, Chimica Verde e Confagricoltura.
Entro il 2030 le aziende agrozootecniche italiane potrebbero produrre 8 miliardi di metri cubi di biometano: l’equivalente dell’attuale produzione nazionale di gas naturale. La migliore destinazione del biometano prodotto negli impianti di biogas sarà l’autotrazione, anche se non si può prescindere da due fattori che potrebbero limitarne lo sviluppo: l’offerta dei veicoli a gas metano e la diffusione dei distributori a metano presenti oggi sul nostro territorio nazionale. Oggi in Italia circolano circa 800.000 mezzi alimentati a biometano, pari a poco meno del 2% del totale circolante. Secondo Assogasmetano in tutto sono 985 i distributori, il 60% dei quali si concentra in sei regioni: Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Toscana, Marche, Veneto. Dell’argomento ne hanno parlato a BioEnergy Italy in un convegno organizzato in collaborazione con Legambiente il sottosegretario del Mipaaf Giuseppe Castiglione, il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, e il presidente del Consorzio Italiano Biogas Piero Gattoni.
La combinazione di reflui zootecnici con siero di latte può dare origine alla produzione di bioplastiche e, in misura più modesta, anche di biogas. Fitocelle, legacci per la vite, supporti per trappole a feromoni, teli per la pacciamatura e la solarizzazione sono solo alcuni dei prodotti che si possono ottenere dalle bioplastiche, senza dimenticare il più conosciuto sacchetto in MaterB, che da alcuni anni ha sostituito quelli di plastica tradizionalmente utilizzati nei supermercati e nei negozi alimentari. Ottenute dall’attività di compostaggio della frazione organica dei rifiuti solidi urbani e da piante particolarmente ricche di amido e/o di zuccheri, i progetti condotti più recentemente hanno evidenziato che anche il siero di latte può essere utilizzato con questa finalità. La produzione di bioplastiche trasforma gli scarti in risorsa e consente di risparmiare grandi quantità di CO2 equivalente.
Lo scorso dicembre Legacoop Agroalimentare ha concluso un progetto finanziato dal Mipaaf che ha coinvolto il Cra di Torino (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), il Politecnico di Torino e l’Università di Bologna. L’idea era quella di capire come sfruttare al meglio il siero di latte che altrimenti i caseifici dovrebbero smaltire come rifiuto. Interessante il risultato finale: con 2 litri di siero si è ottenuto un vasetto di bioplastica per yogurt. Secondo i dati forniti dall’Unione europea, aumentando la produzione di bioplastiche, nel 2020 si potrà ottenere un risparmio compreso tra i 9 e i 27 milioni di t di CO2 equivalente, obiettivo che è legato a filo doppio al concetto di biodegradabilità e compostabilità che le caratterizza.
La tecnologia del biogas a ultrasuoni, già sviluppata in Germania, consente di aumentare del 25% la produzione di biogas. La macchina a onde sonore meccaniche (ultrasuoni) si può applicare anche su impianti esistenti non nuovi e consente di sminuzzare e rendere più “digeribili” anche le biomasse più “difficili” con l’eliminazione delle sostanze dannose o che possono pregiudicare la resa del digestore. Per un impianto di biogas da 1MW di potenza installata l’investimento si aggira sui 110 .000 euro di spesa.
Secondo gli ultimi dati del Crpa, gli impianti a biogas agricolo in Italia sono 994 per una potenza installata di 750 MW. La maggior parte di questi, 52%, si trova in Lombardia ed Emilia Romagna. Il tema della manutenzione degli impianti diventa fondamentale. Se in presenza di un problema bisogna rivolgersi alla casa madre e attendere i loro tecnici le cose si possono complicare. Affidando, invece, questo lavoro di manutenzione degli impianti a imprese locali specializzate si potrebbe risparmiare fino al 70% rispetto all’assistenza offerta dalle ditte installatrici estere, creando nuove figure professionali e un nuovo indotto lavorativo.
L’industria agroindustriale produce un lungo elenco di sottoprodotti e rifiuti che comportano costi di stoccaggio e smaltimento non indifferenti. È possibile trasformare in risorsa energetica anche questi rifiuti. Tra i sottoprodotti agroindustriali che possono diventare “carburante” per i digestori a biogas vanno annoverati quelli ottenuti dalla trasformazione del pomodoro, delle olive, dell’uva, della frutta, degli ortaggi, delle barbabietole da zucchero, ma anche quelli derivati dalla lavorazione dei cereali, del risone, di frutti e semi oleosi, della birra così come altri ottenuti dall’industria di panificazione e dolciaria e dalla torrefazione del caffè. Naturalmente per ogni digestore è più adatto un sottoprodotto rispetto ad altri tenendo presente anche eventuali costi di approvvigionamento e tempi di conservazione.
Il 7 marzo 2014, nell’ambito di BioEnergy Italy, si è celebrata la IV giornata mondiale del mais. L’apporto che la cerealicoltura sta dando alle bioenergie cresce costantemente a livello mondiale. Negli Stati Uniti una quota stimata tra il 30 e 40% del mais prodotto viene destinata alla filiera del bioetanolo. Al contrario in Italia e Europa si è sviluppata una fiorente filiera relativa al biogas. Nella sola Cremona, provincia di punta nel settore, sono operativi circa 150 impianti presso aziende agricole ad indirizzo cerealicolo e zootecnico.
Con 360 impianti di biogas funzionanti sull’intero territorio regionale, pari a una potenza installata di 288 MW, la Lombardia si colloca al primo posto a livello nazionale. I principali risultati del progetto Eco-Biogas, promosso dal gruppo Ricicla presso il dipartimento di scienze agrarie dell’Università Statale di Milano, hanno rilevato che nella regione solo il 4% della Sau (Superficie agricola utilizzata), pari a 35.000 ettari, è coltivato a mais e a triticale destinati ad alimentare gli impianti di biogas, e ben il 50% dell’alimento che entra nei digestori è refluo zootecnico.
BioEnergy Italy: http://www.bioenergyitaly.com
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