Acqua in agricoltura, politiche di risparmio, efficienza e tutela ambientale

Legambiente presenta uno studio da cui emergono cifre allarmanti in merito ai consumi idrici in agricoltura e sprona a scegliere politiche di efficienza, risparmio e tutela della risorsa acqua

Pubblicato il 20 giugno 2012

Il 70% dell’acqua prelevata in Italia è destinata all’agricoltura. Nel bacino idrografico del Po il 95% dei prelievi superficiali è destinato all’irrigazione. Bastano questi due dati per fotografare una realtà nota agli addetti ai lavori, ma poco conosciuta al di fuori di questa cerchia ristretta. Stiamo parlando dell’ingente utilizzo della risorsa idrica del nostro Paese per usi irrigui.

Questione che non vuole far salire l’agricoltura sul banco degli imputati ma, al contrario, intende spingere questo settore produttivo a diventare protagonista, nel suo interesse, di una strategia complessiva che riduca i prelievi e porti ad un uso più efficiente della risorsa aumentandone la disponibilità.

Le politiche di risparmio e di efficienza per un uso sostenibile dell’acqua in agricoltura sono state protagoniste di un convegno organizzato da Legambiente a Roma, che ha visto la partecipazione di diversi esponenti del settore, attivi in associazioni, istituzioni e università.

Per ridurre i consumi d’acqua per irrigazione in Italia e negli altri Paesi a clima arido o sub-arido, si ipotizzano diverse strategie, per lo più riguardanti le tecniche agronomiche e irrigue. Accanto al miglioramento tecnico, sarà necessario però che gli organismi internazionali e gli stati concordino politiche efficaci per ridurre le produzioni eccedentarie e gli assurdi sprechi alimentari che caratterizzano questa epoca, e che orientino il mercato verso prodotti a minor “intensità idrica” o provenienti da aree climaticamente idonee.

Solo nel 2010 sono rimasti sui campi oltre 1,4 milioni di tonnellate di prodotti vegetali, con conseguente spreco delle risorse utilizzate per produrli, tra cui 12 miliardi di metri cubi d’acqua. Oggi, per ottenere un chilo di riso bastano pochi centimetri quadrati di terra, ma servono fino a 2.500 litri d’acqua. Addirittura, se consideriamo i prodotti animali – che si nutrono comunque di mangimi provenienti da colture irrigue – 5.000 litri sono appena sufficienti per produrre una sola bistecca.

“Le politiche necessarie a garantire la tutela della risorsa idrica come bene comune da preservare per le generazioni future”, ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, “influenzeranno la Pac e le politiche infrastrutturali, in particolare nei Paesi dell’Europa meridionale che destinano grande quantità di risorse idriche all’irrigazione (Italia e Spagna). La strada sarà inevitabilmente quella di scegliere tra un’agricoltura di eccellenza, aiutata da marchi e garanzie di origine affidabili, in grado di stare sul mercato facendosi carico anche dei costi reali dell’acqua e dell’innovazione necessaria per utilizzarla al meglio, e un’agricoltura intensiva, ambientalmente insostenibile”.

È urgente raggiungere l’obiettivo di una gestione più sostenibile dell’acqua – fondata su una seria politica di efficienza, risparmio e tutela, non soltanto per motivi ambientali ma anche per preservare una risorsa preziosa anche e soprattutto nell’interesse della stessa agricoltura – in un periodo storico in cui i cambiamenti climatici sono ormai una realtà, che ha visto aumentare le temperature medie, intensificare gli eventi estremi, ponendo nuovi e urgenti problemi di salvaguardia del territorio, modificare i regimi pluviometrici a cui gli agricoltori erano ormai abituati.

Per ottenere questo risultato è fondamentale, da una parte, attivare politiche di mitigazione delle cause dei cambiamenti climatici e, dall’altra, adattarsi agli effetti, passando dalla vecchia politica della domanda alla nuova stagione della gestione della risorsa idrica disponibile, fondata sulla riduzione dei consumi, sull’aumento delle risorse disponibili e dell’efficienza negli usi, e su una radicale revisione del sistema tariffario per incentivare i risparmi e penalizzare gli sprechi.

La gestione necessariamente sostenibile dell’acqua in agricoltura è quindi possibile se si riusciranno a rispettare alcune condizioni basilari: incentivare tecniche irrigue e agronomiche verso modelli di maggior risparmio ed efficienza; ridurre i prelievi di acqua e gli scarichi nei corpi idrici ricettori, praticando seriamente il riutilizzo delle acque reflue depurate in agricoltura, così come nell’industria. Ma per farlo veramente è ormai urgente modificare il decreto del Ministero dell’ambiente n. 185/2003 sul riuso dell’acqua, perché non ha senso prevedere limiti alla carica batterica 1.000 volte più restrittivi rispetto a quelli proposti dall’Organizzazione mondiale della sanità o rispetto a quelli previsti in altri Paesi mediterranei come la Spagna; sul piano della gestione della risorsa è necessario che le Regioni mettano in campo politiche indirizzate verso il risparmio e l’efficienza nell’uso dell’acqua; dal punto di vista infrastrutturale, occorre innanzitutto investire per ridurre le perdite e gli sprechi nel trasporto della risorsa idrica.

Occorre poi procedere ad una profonda rivisitazione dei Consorzi di Bonifica, fondata sul modello delle 3 E (efficienza, efficacia ed economicità), salvaguardando le esperienze positive emerse sul territorio e mettendo mano alle realtà consortili inefficienti, per raggiungere l’obiettivo di una gestione delle risorse idriche sempre più corretta e sostenibile, visto il ruolo tutt’altro che marginale che questi enti rivestono in questo settore. Occorre, infine, rendere sempre più efficace il sistema dei controlli preventivi da parte degli enti locali e di quelli repressivi da parte delle forze dell’ordine, dei prelievi abusivi di acqua dalle aste fluviali e dalle falde, così come occorre aggiornare il censimento dei pozzi di prelievo idrico ed irriguo.

“Per tutto questo”, ha concluso Cogliati Dezza, “è necessario sancire una vera e propria ‘Alleanza per l’acqua’ che coinvolga tutti gli attori in gioco, gli utilizzatori, e quindi l’agricoltura, ma anche l’industria, il settore elettrico e civile, gli enti regolatori (Stato, Regioni, Consorzi di bonifica e Autorità di bacino), senza dimenticare i portatori di interessi diffusi come le associazioni ambientaliste”.

Legambiente: www.legambiente.it 



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